martedì 18 novembre 2014

La scoperta del tesoro di Tod

Nel secolo scorso, l'archeologo Fernand Bisson de la Roque riportò alla luce il favoloso tesoro di Tod, oggi ripartito tra il museo del Cairo e quello del Louvre: è formato da una serie di oggetti di eccezionale valore, le cui origini sono tuttora misteriose. 

Il villaggio di Tod si trova sulla riva orientale del Nilo, circa venti chilometri a sud di Luxor. In origine, corrispondeva a una zona periferica di Tebe. Qui, durante il Medio Regno, si affermò il culto di Montu, dio dalla testa di falco che per lungo tempo fu associato alla guerra. In seguito, la divinità assunse un carattere solare e si vide attribuire anche una sposa: la dea Rattaui, "il sole femminile delle Due Terre". 
Il tempio principale di Montu si trovava a Hermontis, sulla riva occidentale del Nilo, ma altri tre santuari sorgevano rispettivamente a nord di Karnak, a Medamud e, appunto, a Tod. Quest'ultimo fu eretto sotto il regno dei Montuhotep, sovrani dell'XI dinastia, e fu poi interamente ricostruito da Sesostri I (XII dinastia). Durante il regno della dinastia tolemaica, davanti all'antico monumento sorsero nuovi edifici, ma il prestigio del tempio rimase intatto fino all'epoca romana. Successivamente, in epoca copta, il santuario fu raso al suolo e sostituito da una chiesa cristiana, la cui abside era approssimativamente rivolta verso Gerusalemme. Molti edifici di epoca faraonica che sorgevano nei dintorni, inoltre, furono riutilizzati dai Copti.


La storia degli scavi
Già nel XVIII secolo, Tod attirò l'attenzione di Jean-Baptiste Bourguignon d'Anville (1697-1782), primo geografo del re di Francia Luigi XV. Lo studioso si recò nella località egizia per osservare le rovine del tempio, in parte visibili tra le case. Un secolo più tardi, anche Jean-François Champollion visitò il sito e lo raffigurò in alcuni schizzi. Tuttavia, la scoperta del tesoro nascosto nel santuario si deve a un altro archeologo francese, Fernand Bisson de la Roque. Questi era il direttore delle ricerche archeologiche del Louvre per l'Alto Egitto: nel 1933, quando avviò gli scavi a Tod, ad assisterlo c'era il canonico Etienne Drioton, conservatore aggiunto del museo parigino. Grazie alle ricerche dei due egittologi, poco alla volta riemersero le prime due sale del tempio, entrambe di epoca tolemaica. Sul retro, furono scoperti i resti della chiesa cristiana, che poggiava direttamente su un basamento di pietra calcarea. Nell'inverno del 1936, Bisson de la Roque rivolse la sua attenzione al sottosuolo, e riportò alla luce alcuni blocchi di pietra su cui erano incisi i cartigli di due faraoni dell'XI dinastia: Nebhepetra (Montuhotep I) e Sankhkara (Montuhotep II). L'8 febbraio dello stesso anno, in mezzo alla sabbia che riempiva le fondamenta sotto il pavimento, lo studioso scoprì delle statue di bronzo che raffiguravano Osiride. Un po' più in là, su della sabbia vergine, trovò infine quattro casse di bronzo: era il tesoro di Tod.

Un tesoro favoloso
Sulle quattro casse di bronzo ritrovate da Bisson de la Roque, due grandi e due più piccole, è inciso il nome del re Amenemhat II (XII dinastia), definito con l'appellativo "amato da Montu, signore di Djerty (Tod)". Gli scrigni sono chiusi da un coperchio scorrevole che si muove lungo una guida. I due più grandi contengono frammenti grezzi o lavorati di lapislazzuli, quarzo e ametista, perle di cornalina, pendenti, amuleti, sigilli di roma cilindrica, e molto altro ancora. Nei due più piccoli, è stata ritrovata una sorprendente quantità di oggetti preziosi, tra cui dieci lingotti d'oro giallo (numerati in ieratico dall'uno al dieci); tra gli oggetti d'argento, invece, vi sono dodici lingotti, quattro piccoli cilindri, venticinque catene massicce, qualche piccolo ciondolo, la statuetta di un leone e ben 153 coppe. Molte di queste sono ripiegate come delle buste: probabilmente, si voleva che occupassero il minore spazio possibile nelle casse. Da notare che sui lingotti è incisa la scritta nefer nefer ("buono buono"): un antico sistema per precisare che il metallo era di primissima qualità. Su una delle coppe non ripiegate è inciso il nome "Nenitef" (nome proprio di persona). Oggi, questo favoloso tesoro è conservato in parte al Museo del Cairo e in parte a Parigi, al Museo del Louvre.

Gli scrigni di bronzo
Il grande scrigno esposto al museo del Louvre fu ricavato da un unico blocco di bronzo, a eccezione del coperchio. Ai quattro angoli, è munito di piedini rettangolari; sulla parte superiore di uno dei lati c'è un pomello sporgente, identico a quello che si trova sul coperchio: era quindi possibile chiudere la cassa con un laccio. Nella parte inferiore, si trova un grande cartiglio di Amenemhat II (25 cm di lunghezza), che così recita: "Viva il re del Sud e del Nord Nub-Kau-Ra, Amenemhat figlio del sole, amato da Montu, signore di Djerty". Al centro del coperchio, che misura 1 cm di spessore, vi è un altro cartiglio lungo 36,5 cm, che riporta i nomi e la titolatura abbreviata di Amenemhat II. Al Louvre è conservato anche uno dei due scrigni più piccoli: è costruito allo stesso modo dell'altro, ed è grande la metà. Anche in questo caso, nel mezzo del coperchio è incisa la titolatura breve del sovrana Amenenemhat II.

Il tesoro di Tod del Louvre
Come abbiamo visto, il tesoro di Tod è stato suddiviso tra il Museo Egizio del Cairo e il Museo del Louvre di Parigi. A quest'ultimo è andata solo una piccola parte, comprendente uno scrigno grande, uno piccolo e un campionario di coppe dalle fogge più diverse: alcune hanno la forma di semplici ciotole con il fondo arrotondato, altre hanno delle anse, altre ancora sono decorate con del catrame. Vi sono poi dei chiodi di bronzo: furono ritrovati accanto ai bauli, ma solo uno di essi sembra essere integro. Si pensa che questi chiodi fossero in realtà dei pomelli di ricambio, da utilizzare per chiudere gli scrigni. Del tesoro giunto in Francia fanno parte anche sei cilindri di lapislazzuli, che risalirebbero a un'epoca precedente rispetto agli altri oggetti. Infine, degni di nota sono sette lingotti d'argento, una colatura di lingotti d'oro, un ciondolo d'oro a forma di fiore, perle e frammenti di lapislazzuli, e un piccolo scarabeo della stessa pietra, scolpito in modo sopraffino: i suo stile ricorda quello degli scarabei intagliati del Medio Regno.

Analisi di laboratorio 
Nel 1984, il Laboratorio di Ricerca dei Musei di Francia (LRMF) ha effettuato delle analisi sui reperti d'argento del tesoro di Tod: gli esami hanno confermato che la materia prima non è di provenienza egiziana. Si è visto, inoltre, che il metallo di cui sono costituiti i lingotti e le collane non ha la stessa origine di quello del vasellame. I primi, infatti, furono realizzati con argento raramente mescolato al rame: la sua composizione isotopica si avvicina a quella del metallo proveniente dalla Calcidia e da Thasos (Grecia), o dalla regione di Troia e dei monti Tauri (nell'odierna Turchia) Le due coppe analizzate, invece, sono entrambe costituite da argento e da una piccola parte di rame, utilizzato per rendere il metallo più malleabile e, quindi, per facilitare il lavoro di decorazione a sbalzo. 



Origini misteriose 
Il tesoro di Tod è composto da elementi molto eterogenei. Solo le casse e alcuni amuleti, infatti, sono di fattura egizia, mentre i metalli e gli oggetti come abbiamo visto, derivano probabilmente da paesi stranieri, quindi da scambi commerciali o diplomatici. Ricordiamo, infatti, che l'argento era un materiale molto raro e prezioso nell'antico Egitto, e che i giacimenti di lapislazzuli, all'epoca, erano concentrati soprattutto nell'odierno Afghanistan. I sigilli cilindrici, invece potrebbero essere originari della Mesopotamia o della Cappadocia, e sono stati datatati al III millennio a.C. Più incerta è l'origine del vasellame d'argento. Secondo il francese Fernand Chapouthier, esperto in oreficeria, la foggia e le decorazioni di alcune coppe ricordano modelli minoici e micenei. Per esempio, vi sono dei vasi che riprendono la forma dei "cantari" greci, anche se in questo caso, e per la prima volta, furono realizzati in metallo. Quasi tutte le coppe del tesoro di Tod, in effetti, sono uniche nel loro genere, proprio perché fabbricate in argento. L'ipotesi di Chapouthier, dunque, è che gli artigiani asiatici si ispirarono alle opere realizzate dalle popolazioni dell'Egeo. Nel 1937, altri due studiosi d'oltralpe, Jacques Vandier e René Dussaud, ipotizzarono che il tesoro fu radunato in Siria, là dove la civiltà mesopotamica confluisce in quella minoica. Ancora oggi, comunque queste teorie sono oggetto di discussione.

Un incontro tra civiltà
Secondo Geneviève Pierrat-Bonnefois, conservatrice presso  il dipartimento delle Antichità egizie al Louvre, il tesoro di Tod costituisce una preziosa fonte per lo studio delle reciproche influenze tra le antiche civiltà: "Il dibattito in corso sui reperti in argento ha portato a rimettere in discussione alcuni dati cronologici che si davano per acquisiti, provando una grande confusione. Robert Laffineur ha sottolineato, a ragion veduta, che le diverse ipotesi sulla provenienza del tesoro sostenute dagli archeologi - ciascuno dei quali tiene in scarsa considerazione le argomentazioni altrui - potrebbero riflettere proprio il fatto che il tesoro è formato da elementi di origini diverse. Al contrario, se gli argenti hanno un'unica origine, il fatto che vengano attribuiti a diverse civiltà può derivare dall'intreccio di influenze cui furono soggetti gli artigiani dell'epoca, a seguito di reciproci contatti tra le diverse civiltà (...). Non si devono dimenticare, d'altra parte, i reperti di Byblos che indicano chiaramente come nell'arte locale tra la fine dell'Antico Regno e il Medio Regno, coesistessero influenze egee ed egizie". 

Tributo o offerta rituale?
Tra gli studiosi, sembra prevalere la convinzione secondo cui il tesoro di Tod fu nascosto durante il regno di Amenemhat II. Di fatto, non vi sono prove certe al riguardo, né si è riusciti a stabilire a quale scopo furono radunate simili ricchezze. A questo proposito, sono state formulate le ipotesi più disparate. Forse, si trattava di un'offerta per il dio Montu, o di un tributo raccolto sulle coste della Siria e spedito al faraone da Nenitef, il cui nome appare su una coppa. Secondo altri egittologi, i preziosi furono semplicemente nascosti dopo essere stati rubati. È vero, d'altra parte, che il tesoro presenta tutte le caratteristiche di un'offerta rituale: sembrerebbe, infatti, che sia stato raccolto e riposto con molto cura, e non ammassato frettolosamente come forse avrebbe fatto un ladro. Una delle ipotesi più accreditate, perciò, è che potesse trattarsi di un'offerta onorifica rivolta da Amenemhat II a suo padre, il faraone Sesostri I. In uno dei bollettini della Società francese d'egittologia, Geneviève Pierrat-Bonnefois ricorda che Amenemhat II, dopo la morte del padre, si prodigò in offerte agli antenati e agli dei. Si sa, inoltre che quell'anno due navi egizie tornarono dal Libano con 150 Kg d'argento. Il tesoro di Tod, allora, era forse un regalo destinato al dio Montu, e fu deposto dal nuovo faraone nel tempio che Sesostri I aveva appena fatto erigere. Un gesto, dunque, dettato dalla devozione religiosa e, al tempo stesso, dal rispetto per i padri? La questione rimane aperta. 

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