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sabato 16 settembre 2017

Api e miele nell'antico Egitto

Secondo la leggenda, l'ape, simbolo del Basso Egitto, nacque dalle lacrime di Ra cadute sulla terra. Fin dagli albori della civiltà egizia, l'ape venne addomesticata per la produzione del miele, impiegato come alimento. Nel corso del Medio Regno questo cibo delicato, che durante l'Antico Regno era considerato un privilegio della mensa reale, si diffuse anche tra il popolo. Sebbene sulle pareti delle tombe egizie siano state ritrovate poche rappresentazioni relative all'allevamento delle api, i geroglifici contengono numerosi riferimenti al miele che attestano l'importanza della apicoltura nella vita quotidiana degli antichi egizi. Scene di apicoltura sono presenti su i bassorilievi della tomba di Niuserra, re della V dinastia, e la raccolta del miele viene accuratamente descritta sulle pareti della tomba di Rekhmire, gran visir di Amenhotep II, faraone della XVIII dinastia. Considerato un cibo di lusso, il miele, che sostituiva lo zucchero, sconosciuto agli egizi, rappresentava uno degli alimenti preferiti dei faraoni delle dinastie più antiche, prima che il suo uso si diffondesse durante il Medio Regno. Molti dignitari possedevano numerose arnie nel proprio giardino e avevano al loro servizio apicoltori qualificati. Benché il miele non compaia mai nella lista degli alimenti tradizionali, gli scavi hanno consentito di scoprire documenti in cui venivano registrati le quantità di miele consegnati mensilmente ai funzionari. Oltre a costituire un ingrediente basilare nella preparazione di molti dolciumi, il miele veniva impiegato in numerose preparazioni medicinali, nell'elaborazione di cosmetici, maschere emollienti per la pelle, creme e unguenti, oltre che nelle cerimonie religiose. Infatti, associato al latte, simbolo lunare, il miele, simbolo solare, era un cibo sacro ritenuto fonte di energia divina.

Un esercito alla ricerca del miele selvatico
Nei giardini in cui venivano allevate delle api, le arnie erano costituite da giare cilindriche di terracotta disposte orizzontalmente le une sulle altre, in modo da formare un apiario. Nelle giare venivano collocati i favi in cui le api producevano il miele. In autunno gli apicoltori raccoglievano la preziosa sostanza. Prima di procedere alla raccolta, affumicavano le giare e bruciavano della paglia per intorpidire le api ed evitare di essere punti. Quindi, ritiravano il prezioso liquido che separavano dalla cera mediante pressatura e poi lo trapassavano in grandi anfore sferiche. Una volta riempiti, questi recipienti venivano sigillati ermeticamente. Poteva anche capitare che i faraoni incaricassero qualcuno di cercare nel deserto il miele selvatico, considerato migliore rispetto a quello prodotto nei giardini. Si trattava di vere proprie spedizioni, affidate a professionisti, i cacciatori di miele. Questi uomini, che conoscevano i luoghi più favorevoli, si facevano accompagnare da una scorta di arcieri, poiché, allontanandosi dalla Valle del Nilo, si esponevano a gravi pericoli. Non si conoscono i vari tipi di miele che gli egizi erano soliti produrre, ma si suppone che il miele d'acacia fosse una delle varietà più apprezzate.

Sacerdoti chiamati "api"
Il faraone re dell'Alto e del Basso Egitto era soprannominato "principe ape" poiché l'ape, simbolo solare, rappresentava il principio della regalità. Insieme alla canna, simbolo dell'Alto Egitto, costituiva il quarto nome del faraone. All'interno del tempio il grande sacerdote, che entrava da solo nel "Sancta Sanctorum" (naos), accendeva una candela di cera d'api per illuminare il volto invisibile del dio. Anche i sacerdoti erano soprannominati "le api", in quanto manifestazioni terrene di Ra.

Il miele e la medicina 
I medici utilizzavano numerosi rimedi per curare i loro pazienti. Spesso impiegavano dei composti le cui formule erano alquanto complesse. Tuttavia, l'efficacia dei rimedi dipendeva soprattutto da alcuni ingredienti di base, tra cui il miele. Così, per esempio, per "bloccare la fuoriuscita di sangue da una ferita" era necessario assumere una dose di cera d'api, una di miele, una di grano cotto, una di grasso e infine una di datteri. Erano dunque note le virtù antibatteriche del miele e il fatto che favorisse la cauterizzazione delle piaghe. Il miele era anche considerato un eccellente calmante e un sonnifero naturale, un blando lassativo e un ottimo corroborante (infatti protegge la flora intestinale, accelera il recupero dell'energia dopo uno sforzo e favorisce la crescita contribuendo a fissare il magnesio e il calcio nell'organismo).

giovedì 8 dicembre 2016

Il vaiolo nell'antico Egitto

Sembra che la sesta piaga dell’Egitto annunciata da Mosé al Faraone fosse proprio il vaiolo. Diversi studiosi lo hanno identificato con la malattia “shehin”, parola ebraica che si trova nell'antico testamento, ed è nel Pentateuco che troviamo diversi riferimenti a questa malattia; oltre a quelle che si trovano nel Deuteronomio, “il Signore ti colpirà con le ulcere d’Egitto” (Deut. 28,27), “il Signore ti colpirà alle ginocchia e alle cosce con un ulcera maligna dalla quale non potrai guarire; ti colpirà dalla pianta del piedi alla sommità del capo” (Deut. 28,35), è molto importante il passo dell’Esodo: “il Signore disse a Mosé e ad Aronne: procuratevi una manciata di fuliggine di fornace: Mosé la getterà in aria sotto gli occhi del Faraone. Essa diventerà un pulviscolo diffuso su tutto il Paese d’Egitto e produrrà, sugli uomini e sulle bestie, un ulcera con pustole, e in tutto il Paese d’Egitto” (Es. 9,8 - 9). Alcuni studi ritengono trattarsi di vaiolo, anche se a dire il vero appare un po' problematica l’estensione dell’infezione agli animali, dal momento che il virus del vaiolo umano è diverso da quello bovino e di altri animali, quindi colpisce solo l’uomo e le scimmie. Una conferma ci viene tuttavia da un testo posteriore di Filone di Alessandria, filosofo ebreo vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., dove, nel trattato storico apologetico “de vita Moysis”, descrive il vaiolo nella sua forma confluente: “la polvere si depositò immediatamente sugli uomini e sugli animali e provocò una ulcerazione violenta e dolorosa di tutta la pelle e, nello stesso momento in cui si produceva l’eruzione, i corpi gonfiavano con delle flittene suppuranti di cui si sarebbe detto fossero provocate da un fuoco invisibile. Tormentati dalle sofferenze e dai dolori, sia a causa dell’ulcerazione che a causa del bruciore, essi soffrivano nella loro anima tanto quanto nei loro corpi; poiché si poteva vedere un'ulcera unica e continua estendesi dalla testa fino ai piedi, non appena le pustole che si erano estese sugli arti e sul tronco si sviluppavano e formavano un unica massa”.



Lasciando perdere le testimonianze bibliche, che nulla hanno di storico, le documentazioni istopatologiche che ci possono venire in aiuto sono scarse, ma abbastanza probanti: una mummia della XX Dinastia, scoperta a Deir el Bahari da Ruffer e Ferguson, presenta sulla pelle tracce di lesioni le cui caratteristiche di forma e localizzazione posso ragionevolmente attribuirsi al vaiolo; l’esame istologico ha confermato la presenza di vescicole con struttura a setti verticali caratteristici (dovuta a rottura delle cellule malphighiane con formazione di una cavità pluriloculata;  nel derma erano presenti anche numerosi batteri Gram positivi). Anche la mummia di Ramses V (XX Dinastia) presenta sul viso, addome e cosce l’esito di una eruzione papulosa molto verosimilmente da riconoscere come di natura vaiolosa.

Il mio nuovo libro: Immortali - Le mummie di uomini e donne dell'antico Egitto.

 Con questo post voglio inaugurare il nuovo blog. Ormai è passato circa un anno dal mio ultimo post ed è arrivato il momento per me di torna...