mercoledì 8 marzo 2017

"Unlucky Mummy": storia di una mummia maledetta

La storia delle leggende nate in terra egiziana costituisce un tema inquietante e avvincente nello stesso tempo: maledizioni di faraoni, tombe maledette come quella di Tutankhamon, per non parlare delle mummie, di cui farebbe parte la famosa "Unlucky Mummy" del British Museum, alla quale sono state attribuite innumerevoli sciagure. Infatti, nel XIX e nel XX secolo, un'incredibile mitologia si sviluppò attorno alla "mummia maledetta". Il fatto non era nuovo. Già nel XVI secolo, le mummie avevano una cattiva reputazione, in particolare tra i marinai, che si rifiutavano di imbarcarle,convinti che scatenassero tempeste spaventose. La mummia in questione - in realtà un semplice coperchio di sarcofago - fu donata al British Museum da un collezionista privato nel 1889. Difficilmente si compre come il viso calmo e sereno di questa sacerdotessa di Amon-Ra abbia potuto suscitare tante sinistre leggende. Cercando di risalire alla sua origine, gli egittologi del museo londinese giunsero alla conclusione che il sarcofago dovesse trovarsi nel sepolcro di Amenhotep II, rinvenuto da Victor Loret, che avrebbe poi scoperto le mummie reali di Deir el-Bahri. L'archeologo francese non aveva avuto il tempo di mettere al sicuro tutti i pezzi contenuti nella tomba, la quale era stata quindi saccheggiata dagli abitanti di Qurna. Furono probabilmente loro che per impadronirsi dei gioielli della sacerdotessa distrussero la sua mummia e poi ne vendettero il sarcofago. 
Quando fu trasportata al British Museum, il feretro aveva già una cattiva reputazione. Circolavano strane voci. Due famosi occultisti dell'epoca, Thomas Douglas Murray e William T. Stead, erano convinti che alcuni luoghi fossero capaci di risvegliare lo spirito delle mummie e, secondo loro, la sala del museo in cui si trovava esposto il coperchio era proprio uno di questi. Vedevano nella figura della sacerdotessa riprodotta sul sarcofago la rappresentazione di un'anima tormentata. Secondo altri, alcune fotografie scattate allo stesso sarcofago avrebbero rivelato, quasi in modo analogo alla Gioconda o alla Santa Sindone, un volto invisibile a occhio nudo. Altre dicerie raccontavano che tutti i possessori del sarcofago fossero stati colpiti da una disgrazia. Al museo stesso, circolavano voci secondo le quali alcuni guardiani erano morti dopo essersi avvicinati all'immagine maledetta. Per quanto riguarda i visitatori, parecchi di loro sostenevano di essere entrati in comunicazione con la misteriosa sacerdotessa. Per queste ragioni, si raccontava che il sarcofago fosse stato relegato nei sotterranei del museo, per essere acquistato da un collezionista americano che l'avrebbe imbarcato sul Titanic.


Il naufragio del Titanic 
Questa mummia fu infatti ritenuta responsabile della naufragio del Titanic, che avvenne il 14 aprile 1912. Gli stessi superstiti erano convinti di una maledizione che aveva colpito il viaggio inaugurale dell'inaffondabile transatlantico. Così, secondo un giurista newyorkese sopravvissuto, un giornalista avrebbe evocato la storia di una mummia egizia che portava sfortuna già da quando se ne raccontavano le vicende. Poi si cambiò versione, e fu proprio la presenza a bordo del sarcofago maledetto che avrebbe condotto alla catastrofe. Altri oggetti presenti a bordo del Titanic furono anch'essi additati come responsabili della sciagura: tra questi il celebre diamante blu, passato tra le mani della regina Maria Antonietta e della principessa di Lamballe, che avrebbe portato sfortuna ai suoi possessori. 

Ultimi contrattempi 
Innumerevoli fiorirono le leggende anche sulla sorte del sarcofago della sacerdotessa. Per alcuni, sarebbe scampata al naufragio e più tardi sarebbe stato imbarcato per raggiungere l'Egitto a bordo del Lusitania, affondato nell'Atlantico nel 1915 da un sottomarino tedesco. Altri si sono persino azzardati a sostenere che la sacerdotessa di Amon-Ra fosse responsabile della Grande Guerra. In realtà, la "mummia maledetta" continua a figurare nelle collezioni del British Museum. Ancora oggi, alcuni visitatori si rifiutano, così pare, di accedere alla sala in cui è esposta. Ma non si segnalano più nuove maledizioni ormai da lungo tempo.

mercoledì 1 marzo 2017

Le vacche e i tori sacri nell'antico Egitto

Da Apis e Mnevis, e da Bat a Ba-ankh: fin Dall'epoca predinastica, tori e bacche furono tra gli animali più spesso elevati al rango di vere proprie divinità, meritandosi grandi onori e seppur tour e degne di un essere umano. Si può quasi dire che i bovini del pantheon egizio fossero numerosi quanto quelli che popolavano la valle del Nilo.
Tra le divinità dell'antico Egitto, molte erano quelle che assumevano la forma di tori o di vacche: più numerose di quelle associate al leone e agli altri felini, erano seconde solo agli dei antropomorfi. Il loro culto ha origini antichissime: in linea generale, le idee che prendevano le fattezze di una vacca erano legate ai concetti di fecondità e di procreazione, mentre i puoi e i tori sacri potevano essere legati ai misteri del cosmo o al potere dei faraoni. Grazie ai numerosi reperti, gli archeologi hanno potuto ricostruire molti dei loro nomi.

Bat, forma arcaica della grande Hathor
La vacca Bat, il cui nome significa "potere femminile" o anche "spirito femminile", fu divinizzata in epoca molto antica: le prime tracce del suo culto risalgono addirittura all'era predinastica. Questa dea è menzionata più volte nei Testi delle piramidi. Sembra che godesse di grande popolarità soprattutto nel settimo nomo dell'alto Egitto, e che il suo principale luogo di culto sorgesse nei pressi dell'odierna Nag Hammadi. Il santuario si chiamava "La casa del sistro", dal nome del tradizionale strumento musicale egizio. Proprio l'associazione di Bat con questo strumento testimonia che nel corso dei secoli la dea venne gradualmente assimilata alla celebre Hathor, adorata e inizialmente nel sesto nomo e a sua volta raffigurata sottoforma di vacca. Durante il Medio Regno, Hathor cominciò ad assumere molte delle caratteristiche tradizionalmente attribuite a Bat, a cominciare dal sistro e dalle orecchie bovine, fino a soppiantarla del tutto e a diventare una delle più prestigiose divinità femminili del pantheon egizio. 

Mehet-Weret, madre di Ra
Tra le dee bovine, merita di essere menzionata Mehet-Weret, il cui nome significa "la grande inondazione". Secondo alcuni racconti mitologici, questa dea emerse dalle acque dell'oceano primordiale dando alla luce addirittura il grande Ra. Per questo motivo, Mehet-Weret veniva spesso raffigurata con il disco solare tra le corna. È il caso, per esempio, del letto funebre ritrovato nella tomba di Tutankhamon, le cui strutture laterali hanno la forma allungata di due vacche: entrambe terminano con la testa della dea, le cui corna a forma di lira proteggono il disco solare. Le sagome dell'animale sono realizzate in legno placcato d'oro, e sono punteggiate da macchioline nere a forma di trifoglio. I testi dell'antico Egitto fanno riferimento anche ad altre vacche divinizzate, sebbene meno conosciute. Tra queste, ricordiamo Sentayet, il cui nome significa "La vedova": questa dea fu ben presto assimilata a Iside, vedova di Osiride, e poi al feretro di quest'ultimo. Si trattava quindi di una divinità legata al culto funerario. 

Ba-akh, "l'Apis" di Hermontis
A differenza delle vacche divinizzate, Che non venivano associate ad animali in carne ossa, i tori adorati dagli antichi egizi erano spesso delle creature viventi, benché sacre. Tra di essi vi era Ba-akh, conosciuto anche con il nome grecizzato di "Buchis" e originario della zona di Armant, l'antica Hermontis. Il suo culto, meno antico rispetto a quello della vacca Bat, si affermò nella regione di Tebe: per molti aspetti, era simile a quello dell'Apis di Menfi. Come quest'ultimo, Ba-akh beneficiava di una necropoli sacra. Il Bucheion di Armant (scoperto nel 1927) era l'equivalente dell'Apeion degli Apis: una vasta area dove si concentravano le tombe di una moltitudine di tori, incarnazione vivente del dio. Una necropoli era riservata anche alle madri dei Ba-akh. Questo culto rimase in vita almeno fino al regno dell'imperatore Diocleziano, verso il 300 d.C. 

Merwer, "l'Apis" di Eliopoli
Merwer (Mnevis in greco) rappresentava per la città di Eliopoli ciò che Apis era per Menfi e Ba-akh per Hermontis: un toro sacro, incarnazione vivente di un dio. Il documento più antico in cui compare il suo nome (nella forma di "Nem-Wer") è un Testo dei sarcofagi della II dinastia. Come Apis era il messaggero di Ptah, Mnevis svolgeva questo ruolo per conto di Ra, di cui rappresentava anche il Ba (l'anima). Inoltre, i sacerdoti di Ra si servivano dell'animale per formulare i propri presagi, proprio come gli addetti al culto di Ptah facevano con Apis.

La saggezza delle vacche
Nell'antico Egitto, non tutte le vacche venivano divinizzate, ma tutti i bovini godevano di un'ottima reputazione. Secondo un testo del Nuovo Regno, erano loro a consigliare ai contadini quale pascolo scegliere: "Le sue vacche gli dicevano: là l'erba è buona. E lui le ascoltava, e le portava al buon pascolo che loro stessi avevano scelto; e le vacche che egli custodiva crescevano in modo straordinario e figliavano molto spesso".

Il mio nuovo libro: Immortali - Le mummie di uomini e donne dell'antico Egitto.

 Con questo post voglio inaugurare il nuovo blog. Ormai è passato circa un anno dal mio ultimo post ed è arrivato il momento per me di torna...