lunedì 12 giugno 2017

Gli Hyksos, il popolo invasore

Indebolito da forti disordini interni, nel Secondo Periodo Intermedio l'Egitto subì l'invasione del popolo degli Hyksos. La guerra condotta contro questi temibili nemici dal principe tebano Ahmose portò alla liberazione del paese e preparò il terreno per la nascita del Nuovo Regno.


<<Non so per quale motivo, una punizione divina ci ha colpiti>>: con queste aspre parole lo storico egizio Manetone introduce la storia dell'invasione degli Hyksos. Questo popolo di conquistatori riuscì a occupare l'Egitto nel cosiddetto "Secondo Periodo Intermedio", compreso tra il Medio e il Nuovo Regno. Più precisamente, tra il 1730 e il 1580 a.C. s'imposero due dinastie straniere: la XV, detta dei "Grandi Hyksos", e la XVI, detta dei "Piccoli Hyksos". Le origini di questo popolo straniero non sono state del tutto chiarite. Secondo alcuni storici, si trattava di tribù che, dopo essere state scacciate dall'Anatolia, dalla Mesopotamia e dall'Iran, si erano dirette verso Canaan e, da qui, verso il delta del Nilo. Manetone diede loro la qualifica di "pastori" mal interpretando il termine hyksos, deformazione greca del termine egizio hekau khasu, cioè "principi di paesi stranieri".

Arrivano gli invasori
La penetrazione degli hyksos fu facilitata dalla difficile situazione politica in cui versava l'Egitto: un periodo di rivolte e divisioni interne aveva fiaccato il paese, le cui frontiere erano ormai prive di protezione. A questo fattore si deve aggiungere l'ondata migratoria che interessò l'Asia verso il 1700 a.C., e che amplificò il movimento di stranieri verso l'Egitto. Il continuo afflusso di manodopera asiatica, avviatosi già sotto il regno di Amenemhat III (1850 - 1800 a.C.), modificò gli equilibri demografici del Nord, che era la parte più vulnerabile del paese dei faraoni. Gli Hyksos si erano insediati nel delta già da diverse generazioni quando, approfittando, dell'arrivo di nuovi immigrati dal vicino Oriente, decisero di estendere la loro influenza e di provare a prendere il potere. Il primo attacco degli Hyksos avvenne tra il 1730 e il 1720 a.C. Dopo aver occupato parte del delta, gli stranieri si spinsero sempre più a sud. Vicino ai confini nordorientali del paese, fondarono un vero e proprio principato la cui capitale era Avaris, cioè Hut-Uret, "il grande castello": si trattava, infatti, di una vecchia cittadina che fu trasformata in città e completamente fortificata. Incursione dopo incursione, e lungo un arco di circa cinquant'anni, gli Hyksos sottomisero in modo piuttosto pacifico tutta la regione del delta giungendo a nord di Eliopoli. Questo provocò una nuova divisione del paese, il cui 'governo ufficiale' fu relegato sempre più a sud: il regno meridionale, alla fine, comprendeva solo gli otto "nomi" compresi tra l'isola di Elefantina e Abydos. A quel punto, i sovrano hyksos poterono proclamarsi faraoni a tutti gli effetti.

Le dinastia Hyksos
La successione dei sovrani di questo periodo è piuttosto oscura e complessa. Nella sua cronologia, Manetone elenca trentaquattro re tebani che avrebbero governato nel Sud e ben centosettantasei sovrani hyksos, i quali si sarebbero succeduti sul trono del Nord in poco meno di due secoli. Tradizionalmente, questi ultimi vengono raggruppati in due diversi dinastie, così come precedentemente accennato. Tra di essi, spicca il nome di Salitis, della XV dinastia: egli regnò vent'anni, probabilmente da Menfi, su un territorio che comprendeva il delta e la valle del Nilo fino a Gebelein e alle piste desertiche che permettevano di raggiungere gli alleati nubiani. Questa situazione rimase inalterata fino all'avvento di Apopo I: questi delegò una parte del suo potere a un ramo hyksos secondario, che Manetone chiama impropriamente 'XVI dinastia'. Allo stesso tempo, un vassallo affrancato di Salitis, Yaqub Har, rimase al potere per circa diciotto anni, intrattenendo delle buone relazioni con i tre re di Tebe che succedettero a Sekhemra: Antef V "il vecchio", Antef VI e Sobkemsaf, il più conosciuto tra i faraoni della XVII dinastia. Il successore di Yaqub Har fu Khyan, con il quale si aprì la dinastia dei "Piccoli Hyksos".

I contributi degli Hyksos
La tradizione egizia di stampo nazionalista presenta gli Hyksos come un popolo di barbari, crudeli e sacrileghi, che bruciarono città, sterminarono popolazioni, distrussero templi e adorarono un solo dio: il sanguinario Seth. Questa, in realtà, è una visione parziale degli avvenimenti, basata su rare testimonianze dell'epoca di matrice chiaramente tebana e da prendere, perciò, con una certa prudenza. Gli storici moderni hanno messo in dubbio questo genere di resoconti e hanno provato a concentrarsi sugli indizi che potevano essere utili a rivelare un volto differente degli invasori. Per esempio, hanno appurato che, a differenza di altri dominatori stranieri, gli Hyksos si adattarono molto bene agli usi e costumi egizi, adottando anche il sistema politico locale. Lungi dal demolire le istituzioni esistenti, i conquistatori sposarono diverse tradizioni secolari, riguardanti per esempio i cerimoniali di corte e gli appellativi dei faraoni: i sovrani stranieri, infatti, continuarono a includere il nome di Ra nelle loro titolature. Sul piano religioso, gli Hyksos adottarono una parte del pantheon egizio, in particolare quella che gravitava intorno a Seth, il dio di Avaris assimilato ai loro Sutekh. Divinità orientali come Baal e Astarte fecero la loro comparsa accanto a quelle egizie, ma sempre nel rispetto del culto di Ra. Quanto ai sacerdoti, si limitarono ad accentuare le caratteristiche semitiche dei loro dei. Gli Hyksos, dunque, assimilarono una parte consistente della cultura egizia, adottando anche la scrittura geroglifica. Ciò non impedì loro, ovviamente, di conservare parte delle proprie tradizioni e consuetudini. Ancora una volta, però, questo andò a vantaggio degli egizi: l'introduzione di nuove armi, come l'ascia e la daga di ferro, oltre che del cavallo e del carro, si rivelò un contributo prezioso allo sviluppo della vita quotidiana ed economica del paese, e aiutò gli egizi a eguagliare le tecniche militari dei popoli vicini. Anche gli artisti furono influenzati da questa novità, cominciando a introdurre nelle loro opere motivi ispirati agli scenari resi possibili dalle innovazioni tecniche. D'altra parte, gli Hyksos non arrivarono mai a elaborare un proprio stile architettonico o pittorico: poco propensi a spendere grandi somme per la realizzazione di nuove opere, si limitarono ad appropriarsi di quelle esistenti, persino delle grandi sfingi dei faraoni del Medio Regno innalzata a Tanis. Nel complesso, si può dire che i sovrano hyksos non apportarono un cambiamento radicale nella civiltà egizia: semmai, catalizzarono le energie del paese e garantirono la continuità del progresso nei diversi settori.

La reazione del paese
Perché l'Egitto reagisse alla dominazione straniera ci volle del tempo. Si dovette aspettare che i principi di Tebe della XVII dinastia si unissero attorno a uno di loro, Ahmose, il quale si propose di allontanare gli invasori e, al tempo stesso, combattere sul fronte meridionale contro i nubiani, alleati degli Hyksos. La tradizione presenta Ahmose come il vero e proprio liberatore dell'Egitto e come il fondatore della XVIII dinastia. In realtà, questo faraone salì al trono dopo il fratello: all'epoca era ancora molto giovane, perciò il potere fu inizialmente esercitato dalla madre Aahotep. Ahmose è conosciuto anche come il consorte di Ahmes Nefertari, la prima regina d'Egitto a essere designata con il titolo di "sposa divina": non fu solo una semplice consigliera del marito, ma da questi ottenne la qualifica di "Colei che presiede le Due Terre". Per qualche tempo, Ahmasi Nefertari detenne anche il titolo di "secondo servitore di Amon", funzione solitamente riservata agli uomini. Il primo successo militare di Ahmose fu la conquista della città di Buhen, occupata dai nubiani, cosa che gli permise di ristabilire il potere nel Sud del paese e di sottomettere la Nubia all'autorità di un governatore di nome Tu-Ra. La presa di Buhen alimentò una spinta nazionalistica che il nuovo sovrano seppe sfruttare a proprio vantaggio; la lotta contro gli Hyksos fu presentata dal faraone come una guerra di religione, una missione voluta dal dio sole: era Ra a esigere la cacciata dei nemici e il ripristino dell'ordine contro le forze del caos. Sull'onda dell'entusiasmo collettivo, Ahmose si rivolse contro gli Hyksos e, dopo aver riconquistato Eliopoli e Silé, pose sotto assedio la capitale occupata, Avaris, fino a costringere il nemico alla resa. Non pago, il faraone inseguì i nemici in fuga verso Canaan: il nuovo assedio, questa volta presso la città di Sharuhen, durò quasi tra anni; alla fine, il re tebano riuscì a far indietreggiare gli avversari fino ai porti fenici. Ahmose fece poi erigere un monumento commemorativo della vittoria sugli invasori, formato da due stele di pietra che si trovano nel tempio di Karnak. La guerra di liberazione era divenuta ormai il mito su cui si sarebbe fondato il Nuovo Regno.

giovedì 1 giugno 2017

L'enigma del faro di Alessandria

Settima meraviglia del mondo il faro di Alessandria è il simbolo del genio della civiltà greca trapiantato in Egitto. Tra mito e realtà, la sua storia non ha mai finito di affascinare gli uomini. I resti di questo colosso giacciono in fondo al mare e solo qualche frammento ritrovato recentemente ha permesso di svelare parte del suo mistero.


Nel 332 a.C., Alessandro Magno liberò gli egizi dalla dominazione persiana e fondò sulla foce del Nilo a magnifica città di Alessandria. I lavori di costruzione del faro cominciarono verosimilmente solo nel 297 a.C., e si conclusero nel 283 a.C., all'inizio del regno di Tolomeo II. La costruzione, quindi, sarebbe durata circa quindici anni, un periodo di tempo molto breve per un'impresa così grandiosa: testimonianza, questa, dell'efficienza degli ingegneri e delle enormi risorse finanziarie investite in quest'opera. Si pensa che nella realizzazione di questo immenso cantiere gli architetti greci siano stati affiancati dagli artigiani egizi, forti di un'esperienza accumulatasi in tremila anni. L'obiettivo principale che portò alla costruzione di questa colossale torre era quello di edificare un'opera monumentale che riuscisse a colpire l'immaginazione e aumentare il prestigio della città. Lo stesso valeva per altri monumenti di Alessandria, come la Grande Biblioteca. Ma il faro corrispondeva anche a una necessità vitale: guidare i navigatori mettendoli al riparo dai pericoli presentati dalle zone costiere e dai numerosi scogli. Infatti, all'epoca, il commercio marittimo era in pieno sviluppo e, se ci si attiene al numero di relitti di navi greche e romane scoperti recentemente, la barriera rocciosa che si estendeva parallelamente alla costa doveva aver causato il naufragio di non poche navi.

Dove si trovava il faro di Alessandria?
Secondo fonti antiche, il faro sarebbe stato costruito sulla punta orientale dell'isola di Pharos, vicino alle rive della città di Alessandria, formando una penisola collegata al continente dell'isola di Pharos, vicino alle rive della città di Alessandria, formando una penisola collegata al continente da un pontile. Oggi, risulta molto difficile ricostruire esattamente l'aspetto della zona, perché dall'antichità la città di Alessandria è sprofondata di diversi metri rispetto al livello del mare; incolte, la regione è stata devastata da una serie di terremoti, tra il IV e il XIV secolo d.C.: In particolare, nel 1303 un terremoto e un maremoto rasero al suolo una parte della città. Alla fine del XV secolo, il sultano mamelucco Qaitbay costruì una fortezza nel luogo in cui si trovava il faro, riutilizzandone in parte i blocchi di pietra.

Che aspetto aveva il faro?
Probabilmente, il faro di Alessandria era costruito con pietre bianche: si trattava di blocchi ricavati dalla roccia calcarea locale, e non di marmo, come sostengono alcune fonti. Le pietre, provenienti dalla costa settentrionale, non sono servite solo alla costruzione della città antica, ma anche a quella della fortezza di Qaitbay e della moderna città di Alessandria. Il colore bianco, reso più intenso dalle tecniche di levigatura dell'epoca, conferiva uno splendore particolare al faro. Recenti ritrovamenti nei fondali della zona, tuttavia, rivelano che alcuni blocchi di pietra sarebbero stati troppo voluminosi per essere ricavati dalla pietra calcarea; sarebbero derivati, invece, da blocchi di granito di Assuan, e lo stesso vale per alcune giunzioni dell'edificio e per le cornici di porte e finestre. Mettendo a confronto tutte le fonti scritte e le diverse illustrazioni del faro, i ricercatori hanno potuto ricostruire oggi l'aspetto dell'edificio: la torre sarebbe stata alta 135 metri e composta da tre piani, il primo di forma quadrata, il secondo a base ottagonale e il terzo cilindrico. Una rampa, sorretta da sedici archi, permetteva l'accesso al primo piano, che posava su una piattaforma quadrangolare, leggermente piramidale, di una decina di metri di lato. Secondo la descrizione del celebre geografo arabo al-Andalusi, vissuto nel XII secolo, il primo piano sarebbe stato alto 71 metri e largo una trentina e avrebbe avuto una rampa interna per permettere l'accesso al secondo piano. L'ampiezza degli spazi era forse dovuta alla necessità di permettere il passaggio di animali da soma che portavano in cima all'edificio il combustibile necessario ad alimentare il fuoco del faro. Il secondo piano misurava 34 metri di altezza ed era dotato di una scala di 32 gradini che portava al terzo piano. Quest'ultimo, di forma cilindrica, era probabilmente il meno alto, solo 9 metri. La cima era sormontata da una lanterna, a sua volta decorata con una statua di Zeus o di Poseidone, secondo quanto affermato da fonti diverse. Distrutta da un terremoto nel X secolo, la parte superiore della torre fu più tardi convertita in stanza di preghiera dal sultano Ahmed Ibn Tulun: divenne così la moschea più alta del mondo.

Le ricerche sottomarine
Nel 1962, il sommozzatore egiziano Kamal Abu el Saadat convinse la marina egiziana a riportare in superficie una statua colossale raffigurante Iside, probabilmente posta su un lato del faro. Nonostante questa scoperta, non furono effettuate altre ricerche- Solo nel 1994 il dipartimento archeologico egiziano chiese al Centro di studi alessandrini di effettuare delle ricerche subacquee tra le rovine sommerse della fortezza di Qaitbay. L'impresa, tra l'altro, ha ricevuto un notevole impulso grazie alla campagna di informazione organizzata dal cineasta egiziano Asma el-Bakri. L'esistenza  di reperti antichi in quei luoghi era già nota almeno dal XVIII secolo, ma la forte espansione che la città conobbe nei secoli successivi scoraggiò gli archeologi, i quali preferirono dedicarsi ai siti faraonici. Grazie al finanziamento di alcuni sponsor, come il gruppo Elf-Aquitania e la fondazione EDF, gli scavi cominciarono sotto la direzione di Jean-Yves Empereur. L'estrazione di circa 2000 pezzi appartenenti a epoche diverse (faraonica, ellenica e romana) fu intrapresa scegliendo tra i quasi tremila blocchi architettonici mescolati nei fondali marini. Alcuni di questi erano stati buttati in mare volontariamente alla fine del'epoca romana, ai tempi dei mamelucchi, per proteggere il porto di Alessandria. Tramite un sistema di palloni gonfiati d'aria, furono riportati in superficie, tra l'altro, n busto di Tolomeo dai tratti faraonici, basi di colonne e parti di sfingi, alcune delle quali pesavano fino a 70 tonnellate. Si pensa che alcuni pezzi siano più antichi della fondazione della città d'Alessandria e risalirebbero all'epoca di Ramses II. Ad oggi, tuttavia, quanto è emerso dalle ricerche non permette ancora di ricostruire il faro nel suo aspetto originale. Lo studio dei pezzi catalogati è un lavoro che richiede temo: bisognerà aspettare ancora molti anni prima che i misteri della settima meraviglia del mondo siano completamente svelati. 

Il mio nuovo libro: Immortali - Le mummie di uomini e donne dell'antico Egitto.

 Con questo post voglio inaugurare il nuovo blog. Ormai è passato circa un anno dal mio ultimo post ed è arrivato il momento per me di torna...