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domenica 22 maggio 2016

Il busto di Nefertiti


Si tratta di uno dei capolavori dell'arte dell'antico Egitto; questa singolare rappresentazione di Nefertiti (''La bella è arrivata'')o Neferneferuaten (''La bella tra le belle di Aton'') è un paradigma del naturalismo dell'arte durante la breve epoca amarniana. L'artista, Thutmosi, riuscì a catturare la bellezza e l'energia della Grande Sposa del re eretico Akhenaton, faraone della XVIII dinastia.

Nel dicembre del 1912, l'archeologo tedesco Ludwig Borchardt scoprì a Tell el-Amarna un deposito in cui era custodito un gran numero di sculture:il famoso busto di Nefertiti era tra queste. Esso fu scolpito su pietra calcarea: l'altezza è di 48 centimetri, mentre la lrghezza, alla base è di 19,5 centimetri. La scultura è ricoperta da uno strato di gesso per facilitare l'adesione del colore. La regina sfoggia una corona azzurro acqua, appiattita nella parte superiore, e un'ampia collana con decorazioni vegetali. Fatta eccezione per alcune imperfezioni riscontrabili sulla corona e sulle orecchie, prive di piccoli pezzi, la figura si conserva in ottimo stato. La presenza di buchi sui lobi lascia supporre che la scultura fosse provvista di orecchini, consuetudine diffusa in epoca amarniana.
L'artista dedicò la sua abilità alle parti del viso, del collo e alle orecchie, trattando invece il resto in modo meno accurato. Il busto costituisce un caso piuttosto isolato nell'ambito dell'arte egizia, e tale rappresentazione appare sempre in contesti religiosi o di sepoltura. Tra l'altro, l'assenza di un nome scritto, evenienza rara nell'ambito dell'arte funeraria, lascia supporre che si tratti di un modello di laboratorio che doveva servire come riferimento per gli apprendisti dello sculture. Si tratta comunque di un ritratto naturalista, prototipo dell'arte amarniana.

giovedì 24 dicembre 2015

I cartigli reali dei faraoni

L'inserimento del nome del faraone in una figura di forma ovale diede a Champollion la chiave per decifrare i geroglifici. Tale figura era un cartiglio reale.



Il cartiglio reale era una corda legata a forma di ellisse, al cui interno veniva scritto il nome del faraone. Il termine deriva dal francese cartouche: i soldati francesi, durante la spedizione in Egitto di Napoleone, lo chiamarono così perché la sua forma allungata richiamava quella delle cartucce dei loro fucili. Presto fu messo in relazione con l'uroboros, il serpente che si morde la cosa e che simboleggia un cerchio senza inizio né fine, e quindi l'idea di eternità e resurrezione. La sua importanza fu tale che molto oggetti vennero rappresentati con questa forma. Tuttavia, la principale utilità del cartiglio consisteva nella protezione del nome che vi era incluso; questa fu la regione per cui, volendo distruggere la memoria di un faraone, si distruggevano i cartigli con il suo nome. Era utilizzato anche per simboleggiare il controllo dell'Egitto sui suoi nemici, raffigurati come un cerchio con la testa umana e mani legate dietro la schiena. Il cartiglio non è altro che la forma allungata del segno chen, che permetteva quindi l'inserimento del nome del faraone e per proteggere quindi la sua figura. Il cartiglio era anche associato al sole e veniva decorato con elementi pieni di reminiscenze solari. Il sole e la sua rappresentazione erano un tema ricorrente,  simboleggiava il percorso del sole nell'universo. Durante il Nuovo Regno e particolarmente durante la XVIII dinastia, alcuni faraoni si fecero costruire la camera del sarcofago a forma di cartiglio. Persino il sarcofago di alcuni faraoni fu realizzato in nella stessa forma, come quello di Merenptah o quello di Ramses III, ciò serviva a donare protezione nell'aldilà e ad assicurare la resurrezione. 

mercoledì 26 agosto 2015

L'ostrakon della ballerina

L'ostrakon con ballerina è un capolavoro in miniatura dell'arte egizia, rinvenuta in un villaggio di operai situato a ovest di Tebe, è uno dei pezzi più rappresentativi del genere degli ostraka figurati.



L'esemplare, risalente al Nuovo Regno, fu rinvenuto a Deir el-Medina, luogo da dove proviene la maggior parte degli ostraka di questo periodo. È un frammento di pietra calcarea appartenente ai dirupi rocciosi del deserto della regione tebana. Sopra vi è dipinta una ballerina, rappresentata di profilo mentre compie una difficile ma elegante acrobazia: con il corpo audacemente arcuato e con la lunga chioma arricciata che tocca terra, la ballerina sta effettuando una capriola. Sono note, infatti, altre rappresentazioni in cui appare il movimento completo, cioè in tutte le fasi di questo esercizio. La donna è raffigurata seminuda: intorno ai fianchi indossa solo un pezzo di tela nera a motivi policromi. In epoche precedenti, le ballerine presentavano una posizione rigida e angolosa del corpo. A partire dal Nuovo Regno si verificarono dei cambiamenti, senza dubbio dovuti all'influsso asiatico. Da ciò derivò la rappresentazione di ballerine che eseguano movimenti soavi, dotati di grande armonia. L'artigiano che dipinse questo ostrakon dimostrò molta abilità e sicurezza nella realizzazione. Gli operai di Deir el-Medina, soggetti a regole e canoni rigidi quando decoravano le tombe della Valle dei Re, davano libero sfogo alla loro creatività sugli ostraka. In tal modo poterono esprimere un'erte spontanea e piena di vita. 


Tuttavia, la posizione della ballerina acrobata si può osservare anche in questo rilievo della "cappella rossa" di Amon e in moltissime altre rappresentazioni.

venerdì 13 febbraio 2015

Le colonne egizie

Quando pensiamo ai templi egizi uno degli elementi architettonici principali che ci ritorna in mente è la colonna. In effetti è difficile immaginare un tempio come Karnak senza pensare ai suoi enormi colonnati, o al tempio di Dendera senza le meravigliose colonne hathoriche. Quindi cerchiamo di capirne le differenze:


Colonna Scanalata: Detta anche protodorica, perché ricorda nel fusto le colonne greche di ordine dorico, essa imitava probabilmente tronchi di conifere scortecciati. I primi esempi (ca 2700 a.C.) sono quelli del complesso di Djoser a Saqqara. Gli esemplari successivi mostrano generalmente sulla fronte una banda verticale iscritta.

Colonna Papiriforme a capitello chiuso: È simile nell'aspetto a quella lotiforme, dalla quale si distingue per la parte inferiore più stretta e avvolta dal motivo di cinque foglie lanceolate. Il fusto è composto dal motivo di sei-otto steli a tre nervature legati a fascio sotto il capitello, il quale raffigurava ombrelli (corimbi) socchiusi di papiro. Alla triplice nervatura venne dato particolare risalto plastico fino alla XVIII dinastia. I fusti appaiono invece quasi lisci in epoca ramesside (XIX-XX dinastia), dando origine alla cosiddetta colonna "monostile", così chiamata perché secondo alcuni studiosi rappresenta un solo stelo di papiro a gemma chiusa. Le più antiche colonne papiriformi a capitello chiuso sono quelle del tempio della piramide del faraone Sahura della V dinastia.

Colonna Lotiforme: Di diametro uniforme per tutta la sua altezza, il fusto rappresenta un fascio di quattro-sei e più tardi anche di otto steli di fiori di loto legati sotto il capitello. Questo è formato da sei calici leggermente aperti, tra i quali figurano sei fiori più piccoli, il cui stelo si prolunga sul fusto. Leggermente impiegata durante l'Antico Regno, a partire dalla V dinastia e nel Medio Regno, ritornò di moda in Epoca Tarda. Il loto era legato al culto solare: fu infatti il fiore dal quale il sole uscì sulle acque primordiali il giorno della creazione.

Colonna Palmiforme: Rappresenta un tronco di palma decorato con foglie di palma strette al fusto da diverse legature che terminano in un triplice laccio, visibile sul davanti. La prima attestazione è nel tempio della piramide del faraone Sahura menzionata sopra. Il palmizio, dimora del dio Sole, era anche pianta araldica dell'Egitto. Per questo motivo la colonna palmiforme era utilizzata di preferenza nei palazzi reali e nei templi funerari.

Colonna Papiriforme a corolla aperta: Detta anche campaniforme, ha un fusto liscio arrotondato, che rappresenta forse un unico stelo di papiro. Il capitello, che nasconde alla vista dal basso il piccolo abaco, è decorato con serie di corimbi aperti di papiro, avvolti in foglie lanceolate. Questo tipo di colonna, nata come supporto di lampada nel Medio Regno, è attestato in raffigurazioni dell'inizio del Nuovo Regno e come elemento architettonico in pietra per la prima volta nelle costruzioni di Thutmosi III a Karnak. Viene utilizzato di preferenza in chioschi aperti e nelle navate centrali delle sale ipostile, a rappresentare l'aprirsi delle piante al passaggio del dio solare che porta la luce (il giorno) nel tempio, simbolo dell'intero universo. I capitelli a boccioli chiusi, sia papiriformi sia lotiformi, alludano invece alla notte, al viaggio del Sole nell'aldilà dopo il tramonto, nel corpo di sua madre Nut.


Colonna Hathorica (sopra un video che la mostra a 360°): È costituita da un fusto cilindrico su cui poggia il capitello che raffigura quattro facce della dea Hathor con orecchie bovine, che guardano i quattro punti cardinali. Sopra le teste sono collocati altrettanti sistri, generalmente in forma di grande portale. Testimoniata per la prima volta nel Medio Regno, questa colonna è presente in edifici consacrati al culto di Hathor e raffigura il feticcio della dea portato in processione nelle feste a lei dedicate.

Colonna Composita: È così chiamata perché per lo più è formata da vegetali diversi, anche se alcuni esemplari rappresentano steli di sola palma o papiro. Tipica dei templi di Epoca Tarda, la colonna composita ha origine nelle colonne, soprattutto palmiformi, dei palazzi reali di epoca amarniana e ramesside, che presentano variazioni originali su motivi classici.

Colonna a forma di picchetto di tenda: Utilizzata nel tempio funebre di Thutmosi III a Karnak, è la trasposizione in pietra del picchetto ligneo di tenda o baldacchino, costituita da un fusto di dimensione crescente dal basso verso l'alto, che nella parte superiore termina in un capitello campaniforme ornato da foglie lanceolate. Incerto è il legame di questo tipo di colonna con quelle simili dei palazzi minoici a Creta.

lunedì 1 dicembre 2014

Le statue delle regine del Medio Regno

Tra i reperti dell'antico Egitto, spiccano le numerose sculture che ritraggono le regine del Medio Regno. Non sempre il loro stato di conservazione è perfetto, ma si tratta di testimonianze preziose sul ruolo svolto dalle donne nell'esercizio del potere.

Il Primo Periodo Intermedio vide succedersi sul trono d'Egitto un discreto numero di faraoni, più o meno noti. Tuttavia, le liste reali dell'epoca non riportano alcun nome femminile. Qualche nome di regina comparve invece nel corso del Medio Regno, cioè nel periodo in cui le dinastie dei Montuhotep e degli Antef portarono avanti la riunificazione del paese, anche se non sempre si è riusciti a stabilire con esattezza quali relazioni coniugali o di parentela legassero queste donne ai faraoni. Rispetto all'Antico Regno, comunque, divennero più frequenti anche le sculture che ritraevano le regine da sole, vale a dire senza il loro consorte regale. Tra le regine di questo periodo immortalate da sculture, dipinti o iscrizioni, le più celebri sono senza dubbio Nefru (sposa del faraone Antef II, da cui ebbe un figlio, Antef III), Iah (sposa di Antef III, da cui concepì Montuhotep II), Tem (prima sposa reale di Montuhotep II e madre di Montuhotep III), Neferu (seconda sposa reale e sorella di Montuhotep II; tra le altre, una statuetta in calcare la raffigura con la sua pettinatrice, Henut). Tutti i ritratti di queste donne sono accomunati da lineamenti tipici nell'arte di quest'epoca: gli occhi molto grandi rispetto al viso, il naso camuso, le labbra carnose.
Sempre al Medio regno risale un ritratto di Ashait, concubina di Montuhotep II e sacerdotessa di Hathor: una sua immagine dipinta su pietra calcarea è stata ritrovata nel tempio funerario di Montuhotep II. Questo faraone era particolarmente devo ad Hathor: probabilmente fu proprio lui a introdurne il culto a Tebe. Diverse sue concubine erano sacerdotesse della dea, e le loro tombe furono ricavate nel suo tempio funerario di Deir el-Baharai, nella parte occidentale di Tebe. In questo sito, infatti, oltre a quella di Ashait sono riemerse almeno altre cinque tombe di giovani donne della famiglia reale, la cui età va dai cinque ai vent'anni: i loro nomi erano Henhenet, Kemsit, Kauit, Sadeh e Muyet. La regina Kauit è rappresentata anche su una decorazione del sarcofago in compagnia della sua pettinatrice.

Una dedica sulla statua della regina Uret (in alto a sinistra)
Al museo del Louvre di Parigi è conservata una statua di Uret, sposa di Sesostri II. Sulla scultura è incisa questa dedica: "Un'offerta che il re presenta a Hathor, signora del sicomoro (affinché le porga) ogni offerta in pane, birra, carne e volatili, alabastro e tessuti e ogni oca buona e pura di cui vive un dio, per il ka della nobile, la grande, la prediletta, l'amata di Khnum (...) ogni cosa fatta per lei, la sposa che egli ama, Khenemet-nefer-hedjet-uret, che ella viva in eterno". 


Le regine della XII dinastia
Tra i nomi delle regine della XII dinastia spicca quello di Nofret (o Nefret). Purtroppo, le testimonianze sulla sua figura sono piuttosto confuse, e non si è riusciti a stabilire se due diverse spose reali abbiano portato questo nome o se si trattasse della stessa persona. A quanto sembra, Nofret non era di sangue reale ed era originaria di Elefantina; sposò un sacerdote di Tebe chiamato Sesostri (o Senuseret) e diede alla luce colui che sarebbe divenuto il primo re della XII dinastia rovesciando Montuhotep IV: il faraone Amenemhat I. La "grande sposa" di quest'ultimo era Nefrytatenen, che concepì Sesostri I. Probabilmente, Amenemhat I ebbe anche un'altra sposa di nome Deyet, forse sorella del sovrano. In quegli anni vissero anche Nefru (sposa di Sesostri I e madre di Amenmhat II) e Ikhnemet, figlia di Amenemhat II, il cui nome è legato soprattutto ai gioielli ritrovati nella sua tomba. Nofret, invece, era il nome di una consorte di Sesostri I che non si fregiò mai del titolo di "sposa reale", forse perché morì prima che il marito salisse al trono. Dopo di lei visse Uret, sposa reale di Sesostri II e madre di Sesostri III. Questi prese in moglie Mereret, i cui gioielli sono stati ritrovati nel sito archeologico di Dashur: tra i preziosi, è stato rinvenuto anche un pettorale. Nella stessa località è conservato anche un altro pettorale: apparteneva a Sithathor, figlia di Sesostri III (o forse sorella e sposa di questo faraone). Una delle figure femminili più note dell'epoca è Sobekneferu (o Nefrusobek), soprannominata "la bellezza di Sobek": figlia di Amenmhat III, sposò forse il fratello Amenemhat IV. Questi regnò per circa dieci anni, e alla sua morte fu la sua sposa a divenire faraone. Sobekneferu, infatti, fu la prima donna cui le liste reali attribuirono a pieno titolo questa carica. La durata del suo regno non è stata stabilita con certezza (si pensa cinque anni, o poco più di tre anni). A quanto pare, questa regina si fece costruire una piramide a Masghuna (a sud di Dashur), vicino a quella di Amenmhat IV, ma non la utilizzò. Questo indizio lascia supporre che il suo regno fosse finito in modo brusco, forse violento, ma non si hanno certezze a riguardo. In ogni caso, fu lei l'ultimo faraone della XII dinastia. 

Celebri regine e figure anonime
Le più antiche statue di regine tra quelle finora scoperte sono probabilmente quelle che ritraggono Nofret, figlia del faraone Sesostri II: risalgono all'incirca al 1900 a.C., e furono ritrovate nel 1863 da Auguste Mariette nel sito di Tanis. Si tratta di due sculture in granito nero che, in origine, erano collocate forse nel tempio di Amon. Sulla base recano un'incisione che recita:"La nobile, la prediletta, la graziosa, l'amata di Sesostri II, Nofret". Entrambe le statue raffigurano la regina seduta sul trono: nella prima (1), la donna ha la mano destra posata sulla coscia sinistra e la mano sinistra sul braccio destro; nella seconda (2), Nofret ha entrambe le mani aperte sulle cosce, mentre la scollatura del vestito lascia intravedere due serpenti che circondano il nome di Sesostri II. La capigliatura è divisa in due parti da un nastro che cade sul petto della donna e circonda un disco: si tratta della stessa acconciatura esibita dalla dea Hathor e da tutte le regine della XII dinastia. 
Diverse sono le immagini a noi pervenute della regina Uret (detta anche Khenemet-nefer-hedjet-uret), sposa di Sesostri II. Si tratta, infatti, di una delle figure più importanti del Medio Regno. Una sua statua è stata ritrovata a Hekaib, sull'isola di Elefantina, ed è oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi: sulla scultura è inciso l'epiteto "favorita e amata da Khnum" . 
Purtroppo, non tutte le sculture di questo periodo permettono di risalire all'identità delle donne raffigurate. In alcuni casi, per esempio, rimane solo il busto della statua, mentre la testa è andata perduta. Altre volte, si tratta di sculture risalenti al Medio Regno che, in epoche successive, furono modificate e rese di fatto irriconoscibili. 







lunedì 10 novembre 2014

I misteri della piramide di Cheope


Ancora oggi, la grande piramide di Cheope è una vera miniera di informazioni per gli storici. I suoi tanti misteri, in parte irrisolti, costituiscono un'attrattiva irresistibile anche per gli appassionati e continuano ad alimentare la loro immaginazione. 
I film e i romanzi a sfondo storico non sono stati i soli ad aver alimentato il mito della grande piramide di Cheope: persino i fumetti hanno contribuito a rendere immortale questo incredibile monumento con le avventure di Blake e Mortimer, famosissime in Francia e in Belgio e note anche nel nostro paese agli appassionati del genere. Al disegnatore belga Edgar Pierre Jacobs, infatti, si deve un'opera intitolata proprio Il mistero della grande piramide (pubblicato in Italia da Alessandro Editore). 
Tutta questa produzione artistica riflette l'interesse che da sempre circonda la piramide, i tesori in essa nascosti e le ragioni che portarono alla sua costruzione. Nel corso dei secoli, egittologi, esploratori, astronomi e cultori delle discipline esoteriche hanno formulato le più disparate teorie sulla possibile destinazione dell'edificio ipotizzando che si trattasse di un osservatorio astronomico, di un luogo di culto o, addirittura, della testimonianza lasciata da una civiltà extraterrestre. Ancora oggi, in molti sono convinti che all'interno della piramide esistano passaggi inesplorati e cavità segrete. Tutti, in ogni caso, sono incantati da questo prodigio dell'architettura, l'unica tra le "sette meraviglie" del mondo antico che sia giunta quasi intatta fino a noi. 
In effetti, la grande piramide che spicca nel deserto egizio possiede tutte le caratteristiche per stimolare la fantasia: la sua forma è perfetta, le sue proporzioni sono così precise ed equilibrate da sembrare frutto di un miracolo di precisione. Ciascuno dei lati della base misura 230 metri, con uno scarto che non supera i 20 centimetri. In alcuni punti, poi, i blocchi di pietra sono allineati con tale cura che neanche la lama di un coltello riuscirebbe a separarli. 
A distanza di secoli dalla sua costruzione, dunque, la piramide di Cheope colpisce l'immaginario del pubblico: basti pensare, del resto, che fino alla costruzione della Torre Eiffel, nel 1887-1889, è rimasta il monumento più alto costruito dall'uomo. Gli archeologi e gli avventurieri che si inerpicano sulle sue pareti nel corso del XIX secolo scoprirono un panorama mozzafiato, forse il più straordinario di tutto l'Egitto (ad oggi è proibito arrampicarsi sulle piramidi). Proprio gli archeologi che hanno studiato l'edificio hanno donato alla scienza una miniera di informazioni: prima che avvenisse la loro scoperta, le piramidi erano completamente sepolte dalla sabbia del deserto, e con esse i nomi e la storia di numerosi faraoni e regine. Alcuni misteri, però, e tra i più affascinanti, sono tutt'altro che risolti. 


Il sole o le stelle? 
La posizione della piramide di Cheope e il suo presunto perfetto allineamento con quelle di Chefren e di Micerino hanno portato alcuni studiosi a formulare le più svariate ipotesi, dalle più fondate alle più eccentriche. Uno dei quesiti fondamentali riguarda il motivo per cui l'edificio fu costruito. I primi cristiani credevano che le piramidi fossero i "granai dei faraoni", una spiegazione peraltro avvallata dalla Bibbia. Più tardi, alcuni astronomi hanno ipotizzato che la posizione delle tre piramidi di Giza fosse da mettere in relazione con quella dei corpi celesti. Guardando la piramide di Cheope da vicino, infatti, si nota che i suoi pozzetti di aerazione sono probabilmente allineati proprio come i principali astri, per esempio la Stella Polare o la Costellazione di Orione. Gli studi più recenti, tuttavia, sembrano confermare che la grande piramide fu costruita, come tutte le altra della regione, per consentire al re di intraprendere il suo ultimo viaggio, quello nell'aldilà. Simbolicamente, quindi, la forma piramidale doveva costituire una scala, una specie di trampolino per agevolare l'ascesa dell'anima del re defunto verso l'altro mondo. Più difficile è stabilire se la destinazione immaginata dagli egizi per lo spirito di Cheope fosse il sole, dominio di Ra, o una stella. Un versetto dei Testi delle piramidi recita infatti: "O re, sei la stella brillante, compagna di Orione". Nondimeno, bisogna aggiungere, che il cielo sopra la piana di Giza non è lo stesso di quattromila anni fa, poiché esiste in astronomia un fenomeno chiamato: moto stellare

I segreti della costruzione
La piramide di Cheope si sviluppa intorno a tre ambienti principali: la "camera del re", che corrispondeva alla sua stanza funeraria, una camera intermedia (detta impropriamente "della regina") e un locale sotterraneo, rimasto incompiuto. Alcuni degli avvenimenti che segnarono la realizzazione dell'edificio sono stati ricostruiti dagli storici: è stato stabilito, per esempio, che il progetto fu modificato in corso d'opera, dal momento che l'ingresso conduce inizialmente alla camera incompiuta. Sempre dall'ingresso, si diparte un corridoio ascendente, che poi si divide in due per giungere nella "grande galleria"; questa, a sua volta, conduce alla camera mortuaria. Altri cunicoli, molto più angusti, fungevano da pozzetti di aerazione collegando le due camere principali alla superficie esterna della piramide. 



A quanto sembra, la cosiddetta "camera della regina" ritrovata all'interno della piramide di Cheope non fu mai destinata a una sposa reale. I primi esploratori che la scoprirono vollero chiamarla in questo modo, ma oggi gli archeologi sono propensi a credere che la stanza non fosse mai stata utilizzata, e che i suoi lavori di costruzione rimasero incompiuti a causa di una modifica del progetto iniziale. 
La camera reale, apparentemente destinata ad accogliere le spoglie di Cheope, fu interamente realizzata in granito rosa di Assuan. Solamente sulla volta si contano nove lastre da cinquanta tonnellate ciascuna: per sostenere un simile peso, l'architetto progettò un soffitto ad arco. Su alcune di queste lastre gli esploratori hanno scoperto persino dei graffiti: si tratta di incisioni lasciate dagli operai che lavorarono nella piramide. Questi geroglifici, peraltro, costituiscono l'unica traccia conosciuta del nome di Cheope all'interno della piramide. All'interno dell'edificio è stato ritrovato anche il sarcofago di granito probabilmente appartenuto a Cheope. Il fatto che sia rimasto nella sua sede originale non è certo da attribuire al buon cuore dei saccheggiatori, bensì alle sue dimensioni: probabilmente, la costruzione della stanza fu portata a termine solo dopo avervi introdotto l'enorme bara di pietra. 

Il Cantiere
Quante persone lavorarono nel cantiere della grande piramide? È impossibile stabilire una cifra esatta, anche se alcuni egittologi parlano di centomila operai che sarebbero stati impiegati lungo un arco di circa venti anni. Contrariamente a quanto si può pensare, molti di loro non erano schiavi, ma contadini che venivano ingaggiati durante i tre mesi della piena del Nilo. Quattromila operai specializzati, invece, erano alloggiati per tutto l'anno vicino al cantiere. Vi è poi un mistero che per secoli ha costituito uno dei grandi enigmi della storia: come fecero gli egizi a spostare i blocchi di pietra necessari alla costruzione della piramide, la cui massa totale ammonta a ben sei milioni di tonnellate? Per decenni gli scienziati hanno immaginato ogni sistema possibile. A oggi, sembrerebbe da escludere l'ipotesi secondo cui gli egizi sollevassero le pietre per mezzo di pulegge. Si ritiene, invece, che avessero predisposto delle rampe, lungo le quali le pietre venivano fatte scivolare con delle specie di slitte. A supporto di questa teoria esiste anche un affresco datata al 1850 a.C. circa, ritrovato nella tomba di un certo Dehutihotep, a El Bersha: vi sono raffigurate diverse squadre di operai impegnate a trascinare una statua colossale. Si può immaginare, quindi, che questa tecnica fosse simile a quella utilizzata per spostare gli enormi blocchi della piramide di Cheope.
Un'ultima curiosità: all'interno della piramide, e più precisamente nei pozzetti di aerazione della camere "della regina", sono stati ritrovati una mola di granito e un gancio di ferro. Utensili dimenticati da un operaio distratto? Se la loro autenticità venisse confermata, si tratterebbe degli unici strumenti conosciuti tra quelli utilizzati nel cantiere originale.

Passaggi verso l'aldilà
Uno dei misteri che circondano la grande piramide riguarda i cunicoli riportati alla luce dai ricercatori già nel XIX secolo. Nessun'altra piramide possiede passaggi di questo tipo, e le diverse ipotesi sulla loro funzione hanno catturato l'attenzione di molti specialisti. Nella concezione dell'epoca, si trattava forse di passaggi che dovevano agevolare il cammino verso l'aldilà di due incarnazioni divine del faraone Cheope, vale a dire il dio del sole e il falco Horus, dio del cielo e della luce. Di fatto, Cheope aveva una filosofia religiosa particolare: si proclamava dio del sole già da vivo, contrariamente ai suoi predecessori che acquisivano questa nuova natura solo dopo la morte.
Due dei tre cunicoli individuati sboccano all'aria aperta, mentre un altro ha delle caratteristiche davvero singolari e misteriose. È largo appena venti centimetri, lungo circa 60 metri e inclinato di quanta gradi. Dalla "camera della regina" procede verso sud ma, a differenza dei due condotti che si dipartono dalla "camera del re" (orientati a nord e a sud), non sfocia all'esterno della piramide: termina, invece, su una pesante porta dalle maniglie di bronzo. Cosa nasconde? Per svelare questo mistero, nel settembre del 2002, è stato impiegato un piccolo robot chiamato "Pyramid Rover". Davanti alla telecamere della televisione egiziana, il dispositivo si è introdotto nel cunicolo, ha percorso i sessanta metri in pendenza ed è arrivato davanti alla misteriosa porta. Dopodiché, ha praticato un foro per introdurre una telecamera, ma sfortunatamente il mistero è rimasto irrisolto: ciò che Pyramid Robot si è ritrovato davanti era... un'altra porta! Il nuovo ostacolo è stato testato con gli ultrasuoni: a quanto pare, è spesso ben nove centimetri e custodisce gelosamente i suoi segreti.

Dove è finita la mummia di Cheope?
La madre di Cheope, Hetepheres, ebbe la fortuna di essere seppellita nell'unica tomba rimasta intatta dell'Antico Regno: essendo stata risparmiata dai saccheggiatori, la tomba di Hetepheres, ha restituito tesori di inestimabile valore, gioielli, arredi e persino organi umani imbalsamati e conservati nei tradizionali vasi canopi. Anche in questo caso, però, resta da chiarire un mistero, dato che il sarcofago della regina è stato ritrovato vuoto. Dov'è finita, quindi, la mummia di Hetepheres? Quanto a Cheope, non si sa molto di più. Senza dubbio il faraone fu mummificato, proprio come ogni altro personaggio di alto lignaggio, ed è molto probabile che la grande piramide sia stata la sua ultima dimora. Ma dove sono le sue spoglie mortali?
Solo all'interno della Piramide di Menkaura (Micerino) fu ritrovata la mummia (andata perduta nel naufragio della Beatrice, la nave che dall'Egitto doveva trasportare il corpo del re fino in Inghilterra), sappiamo che i predatori dell'antichità erano interessati all'oro del corredo funerario, mentre le salme dei defunti venivano lasciate al loro posto. Ma allora, che ne è stato della mummia di Cheope? E supponendo che la grande piramide non abbia mai contenuto la sua mummia, a cosa serviva? La ricerca rimane aperta, e così le ipotesi degli scienziati e degli appassionati... ma c'è un'ultima domanda che bisogna porsi: e se il corpo di re Cheope si trovasse ancora nella Grande Piramide? 

mercoledì 22 ottobre 2014

Le oche di Meidum

Anche nell'antichità, molte specie di uccelli migratori svernavano in Egitto. Il fregio di Meidum ne è una delle più celebri testimonianze. Conservato nella sala XXXII del Museo Egizio del Cairo, proviene dalla mastaba di Nefermaat e Atet, costruita a Meidum all'inizio della IV dinastia, durante il regno di Snefru.


Sei oche in un campo, divise in due gruppi di tre che si rivolgono la schiena: i volatili alle due estremità si stanno cibando, gli altri quattro passeggiano sulla riva del Nilo. Questo affresco fu scoperto nel 1871 da Auguste Mariette. Adornava i muri della mastaba (una tomba dalla forma di un grosso blocco di pietra) di una coppia di principi dell'inizio dell'Antico Regno. Oggi esposto al Museo del Cairo, è uno degli esempi più sorprendenti delle doti artistiche degli antichi egizi. Purtroppo si tratta solo di un frammento, largo 172 cm e alto 27. In origine si inseriva in una scena più ampia, che mostrava i figli di Atet a caccia di uccelli sul fiume, pullulante di selvaggina. Il tempo non ha conservato che questo gruppo di oche che beccano dei chicchi di grano sugli argini del fiume dopo l'abbassamento delle acque.

Messaggere degli dei
Nell'antichità, le oche erano considerate messaggere divine tra il cielo e la terra: il loro ritorno periodico annunciava la stagione delle piene, il nuovo "dono del Nilo" dopo la siccità. L'oca è un animale che si incontra spesso in Egitto: veniva addomesticato e spesso la si trovava nella cinta dei templi; sulle pareti di una cappella funeraria le oche assicuravano al defunto protezione contro le forze del male. Non si trattava, dunque, solamente di raffigurare delle scene commemorative della vita terrena del defunto, ma di permettergli di condurre, anche nell'altro mondo, una vita simile a quella terrena. 

Decoro funebre ed esercizio di stile
Gli affreschi funerari non erano destinati ai viventi: gli egizi credevano al valore magico della pittura. Una volta terminata l'opera, si procedeva a una cerimonia rituale che permetteva alla scena di animarsi di vita eterna. Il muro della mastaba di Meidum porta questa iscrizione: "Ha fatto eseguire queste immagini con un tratto indistruttibile". 
L'artista ha prima scavato dei bassorilievi profondi, poi li ha riempiti con della pasta colorata, per rendere l'aspetto variopinto e cangiante delle piume. I ciuffi d'erba disseminati tra gli uccelli sono dipinti direttamente sul muro. La precisione dei dettagli del piumaggio e i colori di ogni uccello hanno permesso agli egittologi di identificare le diverse specie che l'antico Egitto conosceva. Gli artisti dell'Antico Regno danno prova di uno spiccato senso d'osservazione naturalistica e di grande virtuosismo nell'esecuzione. 
La pittura egizia ignorava la prospettiva e le figure umane erano disegnate seguendo una concezione: viste frontalmente nella parte alta del corpo, di tre quarti il torso e di profilo per quanto riguarda le gambe e il viso. Così, per mostrare che due oche comminano affiancate, l'artista le ha leggermente sfalsate: una cammina dietro l'altra, ma la seconda è in parte nascosta dal corpo di quella vicina. 



giovedì 31 luglio 2014

Amenhotep III e i suoi scarabei: matrimonio con la principessa mitannica Khilughipa


Dopo aver analizzato lo scarabeo di Ty, passiamo a quello del matrimonio con Khilughipa. È il più interessante tra gli scarabei di Amenhotep III, del quale sono noti cinque esemplari. Esso celebra il matrimonio, avvenuto nel'anno decimo di regno, tra Amenhotep III e Khilughipa, figlia di Shuttarna II, re di Mitanni. La giovane principessa era giunta in Egitto accompagnata da ben 317 damigelle d'onore. 

Comparazione del testo con l'originale:




Traduzione del testo: 


lunedì 20 gennaio 2014

La Sfinge di Amenemhat III


Da Tanis, la nuova capitale dell'Egitto durante la XXI e XXII dinastia, provengono sette sfingi in granito di Amenemhat III che evocano la potenza sovrumana del monarca, enfatizzandone l'aspetto felino. Il volto del faraone, austero e vigoroso, è caratterizzato da tratti tipici della ritrattistica regale, con gli zigomi sporgenti, la bocca prominente e i profondi solchi sulle guance che creano forti effetti chiaroscurali. Una massiccia criniera di leone, da cui spuntano grandi orecchie ferine, sostituisce il tradizionale nemes regale accrescendo il senso di maestosità dell'intera figura. Non mancano l'ureo sulla fronte e la barba posticcia, consueti simboli della regalità divina. Le statue poggiano su un alto e massiccio basamento intorno al quale sono riportati i cartigli di alcuni sovrani che, nel corso dei secoli, usurparono il gruppo di sfingi affascinati dalla loro bellezza: il re hyksos Nehesy, Ramses II e Merenptah della XIX dinastia, infine Psusenne I della XXI dinastia. Quest'ultimo sovrano collocò infine le statue a Tanis, dove sono state rinvenute, ma è probabile che in origine le sfingi fossero state destinate a ornare il tempio della dea Bastet a Bubastis. 




DATI
Materiale: Granito Grigio
Misure: Altezza 150 cm, lunghezza 236 cm
Luogo del ritrovamento: Tanis
Data del ritrovamento: 1863
Archeologo: Auguste Mariette
Dinastia: XII dinastia
Regno: Amenemhat III
Epoca: 1842-1794 a.C.
Sala: 16

venerdì 12 aprile 2013

Lo Zodiaco di Dendera

Il famoso zodiaco si trovava sul soffitto di una cappella del tempio di Hathor a Dendera (oggi è esposto al Museo del Louvre). La volta celeste è sostenuta dalle quattro dee, pilastri del cielo, orientate verso i quattro punti cardinali. Sopra le loro mani si trova l'insieme dei 36 decani. Nel cerchio interno, quello che appare nell'immagine, le diverse costellazioni dello zodiaco si mescolano con i pianeti e il resto delle costellazioni visibili in Egitto. La posizione dei pianeti, insieme alla rappresentazione di un'eclissi di sole, permette di stabilire che si tratta di quella visibile in Egitto il 3 marzo del 51 a.C.
Il tempio di Dendera, nell'Alto Egitto, costituisce una delle testimonianze più spettacolari delle conoscenze astronomiche nell'antichità. Grazie alle fedeli raffigurazioni dei pianeti e delle costellazioni, è stato possibile stabilire l'epoca della sua costruzione: tra la metà del I secolo a.C. e la fine del Periodo Tolemaico. L'influsso greco si nota sia nei particolari architettonici, sia nella simbologia utilizzata nelle immagini astronomiche.
Un'altra delle tante immagini di carattere astronomico nel tempio di Hathor, si trova sul soffitto della sala ipostila (in alto a sinistra). Il tempio è come un microcosmo in cui gli dei del cielo e i re della terra vivono in armoniosa dipendenza.
Qui di seguito, trovate una spiegazione figurativa dello Zodiaco di Dendera.


domenica 31 marzo 2013

I Vasi Canopi


La necessità di preservare il corpo per la vita nell'aldilà sembra essere una costante nella storia egizia, con il passare del tempo, gli egizi, si resero conto che il corpo del defunto si conservava molto meglio se privato degli organi interni. I vasi in cui venivano custoditi tali organi vengono oggi chiamati canopi. I vasi in questione, sono menzionati nei Testi delle Piramidi come “amici del re”, poiché aiutavano il faraone nella sua ascesa al cielo. Nel XVIII secolo, il vaso dalla testa umana venne rappresentato con un personaggio mitologico greco, Canopo, timoniere di Menelao, che fu sepolto a Canopo, nel Delta, e adorato sotto tale forma.


La prima traccia dei vasi canopi fu rinvenuta nel corredo della regina Hetepheres, madre di Cheope, in cui vi era una cassa divisa in quattro parti contenente resti di organo. Nel Primo Periodo Intermedio comparvero vasi con testa umana e, al loro interno, organi mummificati. Questa pratica si diffuse nel Medio Regno; a partire dalla XIX dinastia, ogni coperchio aveva la forma di uno dei figli di Horo. Ma dalla XXI dinastia gli organi furono mummificati e lasciati all'interno  con una piccola figura di cera del figlio di Horo a cui l’organo erano collegato. Anche così si continuarono a fabbricare i vasi canopi, benché in un unico pezzo e senza nulla dentro. Essi mantennero il loro valore simbolico di protezione fino all'epoca romana.


sabato 22 dicembre 2012

Le Triadi di Micerino

Le triadi di Micerino, capolavori dell'Antico Regno, raggiungono un alto livello artistico e rappresentano l'affermazione di un canone nella scultura. Le opere, che dovevano far parte di un vasto complesso, conseguenza di un elaborato programma, mostrano anche la grandezza, il potere e l'essenza divina del sovrano. Le triadi furono trovate dall'egittologo statunitense Reisner a Giza, nel magazzino sud del tempio della valle del recinto funerario del sovrano. Sotto otto, di cui quattro ben conservate ed esposte oggi nei musei del Cairo e di New York. Sono lavorate in scisto e di grandezza inferiore a quella naturale. Il monarca occupa la parte centrale della triade, con la corona dell'Alto Egitto e la barba posticcia propria degli dei. Alla sua destra si trova Khamerernebti, che si identifica nella dea Hathor, con la pettinatura simmetrica e il disco solare tra le corna. Alla sua sinistra vi è una dea che personifica una delle province egizie e che è diversa in ognuno dei gruppi conosciuti. Le figure sono frontali e ieratiche. Stanno in piedi ed escono dall'ampia lastra di pietra alle loro spalle. Il pilastro dorsale ha permesso allo scultore di realizzare in rilievo i motivi che ornano l'acconciatura sul capo e sulle spalle dei personaggi. Allo stesso modo le insegne delle divinità che indicano i nomoi sarebbero state molto complicate da scolpire a tuttotondo. Nel gruppo scultoreo vi è una relazione di interdipendenza tra il Micerino e la dea Hathor, uguale al legame tra uomo e donna. In quest'opera, dunque, viene messo in risalto il ragno divino del faraone. Questo è uno dei gruppi trovati a Giza da Reisner nel 1908, all’interno del ‘’covo del ladro’’ del tempio della valle del recinto funerario di Micerino; è conservato nel Museo del Cairo. Le triadi si trovavano nel coretile del tempio, dove furono rinvenuti anche altri frammenti. Il re, elevato a rango di dio, ha la gamba sinistra in avanti come se stesse camminando. Le sue mani sono attaccate al corpo. L’artista ha fatto un ritratto del faraone nel suo massimo splendore, dotandolo di eterna giovinezza. Alla sinistra c’è la del settimo nomos dell’Alto Egitto, Diospoli Parva, che personifica la fecondità della terra, base materiale del potere del re. Le dee, che esprimono per la prima volta la bellezza della donna nell'arte, indossano tuniche sottili che lasciano intravedere la loro femminilità.

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sabato 6 ottobre 2012

Rahotep e Nofret



Uno dei gruppi scultori più noti della storia dell'Egitto è la coppia formata da Rahotep, sacerdote di Ra a Eliopoli, e Nofret, la ''conoscente del sovrano''. Sono due statue sedute, scolpite in blocchi di pietra calcarea come se fossero altorilievi, cioè come figure unite a uno schienale che serve da supporto, in questo caso i troni. La loro espressività, grazie al trattamento del volto, e i contrasti tra la figura maschile e quella femminile esaltano la bellezza del gruppo. Ai contorni più morbidi di Nofret si contrappone il corpo angoloso di Rahotep. La donna indossa un mantello bianco, mentre l'uomo mostra il torso nudo e ha la pelle di colore rossiccio, caratteristica delle raffigurazioni maschili nell'antico Egitto. Tutti questi elementi mettono in risalto la qualità artistica di questo gruppo scultorio. Il ritrovamento delle statue è avvenuto a nord della piramide di Maidum, durante gli scavi compiuti da Auguste Mariette nel 1871, e oggi è conservata al Museo egizio del Cairo. Rahotep era figlio del faraone Snefru, anche se altri ipotizzano che fosse figlio di Huni, fu sommo sacerdote di Eliopoli. Di Nofret non si conosce praticamente nulla, neanche i genitori, purtroppo i resti archeologici sono scarsi e a parte la mastaba(in pessime condizioni)o la statua, di lei non abbiamo nulla.

domenica 27 maggio 2012

Le Steli


Le steli sono lastre monolitiche, generalmente di pietra calcarea ma anche di granito o di arenaria. Inizialmente erano di legno. Il nome egizio che indicava la ''stele'' era uedkh o aha. Su di esse ci sono rilievi spesso dipinti, e iscrizioni. Generalmente le dimensioni variano da uno a quattro metri di altezza. Questi monumenti possono avere diverse funzioni e forme. Le stele funerarie rappresentano, insieme al sarcofago, l'elemento più significativo della tomba egizia. Identificano il defunto, indicandone il nome e i titoli. Venivano poste nelle cappelle delle tombe e facevano in modo che il defunto ricevesse gli alimenti e gli oggetti necessari per la sua vita nell'aldilà. La stele a falsa porta è propria dell'Antico Regno (2686-2173 a.C.); attraverso la porta 'magica'', l'abitante dell'aldilà poteva avere contatti con il mondo dei vivi. Le stele cultuali o votive venivano solitamente collocate nei templi; erano dedicate agli dei, e in esse venivano incise scene di adorazione o offerte agli dei. Le commemorative possedevano una finalità propagandistica: in esse risaltano le vittorie di un re o le imprese di un nobile. Quelle di demarcazione, o limitrofe, segnavano i limiti di una città, o i confini del Paese.

Le stele reali della I dinastia, ad Abido, hanno la parte superiore arrotondata e si trovano in uno dei lati delle mastabe a coppie; esse contenevano solo il nome del faraone. Durante la III dinastia (2686-2613 a.C.) esistono già ''stele di nicchia'', situate nella sovrastruttura della mastaba. Le stele caratteristiche dell'Antico Regno (2686-2173 a.C) sono quelle a falsa porta, che iniziano a ingrandirsi a partire dall'antica ''facciata del palazzo'' e dalla sua stele di nicchia.
Solitamente erano di pietra talvolta di legno. Quelle di pietra sepolcrale sono tipiche della mastaba di Giza e si trovavano nel lato orientale della mastaba. Durante il Primo Periodo Intermedio (2173-2040 a.C.) furono utilizzate forme rettangolari piane, con semplice decorazione, si ritornò pertanto alla tradizione delle stele di nicchia. Quelle del Medio Regno (2040-1786 a.C.) sono rettangolari o arrotondate nella parte superiore. Le stele del Nuovo Regno (1552-1069 a.C.) hanno diverse forme. Sono caratterizzate dalla presenza di divinità, in particolar modo Osiride.
Questa linea continua anche nella Bassa Epoca, ma nelle stele c'e un sistema definito di relazioni nelle proporzioni della decorazione.

Stele di Demarcazione
Sebbene meno frequenti e poco note, in Egitto esistono anche stele che segnavano i confini. Alcuni esemplari furono ritrovati nell'antica Akhetaten. Servivano a segnalare i limiti territoriali della città che il re Akhenaten (Amenhotep IV) fece costruire nella zona dell'attuale Tell el-Amarna. Tra l'altro non avevano solo una funzione territoriale. In esse possiamo vedere il faraone, con la sua sposa Nefertiti, che venerano Aton, il disco solare. Queste stele, inoltre possiedono un carattere cultuale

Stele politica
Queste stele si trovano nella parete esterna del tempio di Abu Simbel. Il suo scopo era propagandistico, sebbene le scene possiedono un carattere rituale e archetipo. Da un lato, si vede Ramesse II che sacrifica i nemici, dall'altro, il faraone in adorazione. I testi geroglifici esaltano le vittorie del sovrano.

Stele a falsa porta (in alto a sinistra)
Questo tipo di stele funeraria era diffuso durante l'Antico Regno. La stele a falsa porta era situata tra la camera delle offerte e quella mortuaria. Era formata da un sistema di stipiti e di architravi eseguiti secondo il canone dell'architettura del palazzo reale.

sabato 31 dicembre 2011

I significati dei colori

I pittori e i loro metodi
La tecnica pittorica degli antichi egizi assomiglia, verosimilmente, alla nostra tecnica della tempera: si basava sull'uso di pigmenti colorati diluiti in acqua, ai quali si aggiungeva un legante. Per la decorazione delle pareti si utilizzò molto presto il disegno a rilievo, ma anche la pittura: si preparava una base di gesso su un muro liscio, il disegnatore tracciava una quadrettatura e la usava come riferimento per disporre oggetti e personaggi. Poi il pittore applicava i colori. Di solito lo sfondo era grigio o bianco. Anche i colori della pelle erano convenzionali: marrone-rossastro per gli uomini, ocra pallido per le donne, mentre gli dei hanno spesso una carnagione verdastra o blu; la pelle dei Nubiani era nera, quella degli asiatici gialla.

Il simbolismo dei colori
Non solo la pelle aveva un significato proprio, ma in ogni forma d'arte figurativa, il colore utilizzato dall'artista gioca un ruolo fondamentale:

  • il bianco ricorda la luce che trionfa sulle tenebre, è il colore della gioia e della gloria;
  • il blu è il colore dell'aria e degli spazi celesti. Il blu scuro del lapislazzulo descrive le profondità della terra e del cielo stellato, l'azzurro turchese l'acqua del Nilo e l'immensità del mare;
  • il giallo simboleggia l'oro, "la carne degli dei" e l'immortalità;
  • il nero è un colore benefico: è il limo prezioso lasciato dal Nilo dopo l'inondazione. Rappresenta la rinascita del corpo nell'aldilà;
  • il rosso significava violenza e vittoria, è il colore del sole, del deserto, del caos e del sangue;
  • il verde rappresenta la vita vegetale, la gioventù e la salute, è il colore del dio Osiride.

Il bianco si ricavava dal gesso o dal calcare, finemente tritato, per ottenere il celeste si utilizzava l'azzurrite, per i marroni si mescolavano ossido di ferro e pigmenti bianchi. Il nero era ricavato dal carbone o dall'ossido di manganese, il rosso utilizzando l'ossido di ferro, il verde veniva prodotto polverizzando la malachite e per il giallo si usava l'ossido di ferro idratato. A partire dalla XII dinastia fece la sua comparsa l'arsenico. Il legante per i colori non è stato ancora identificato con sicurezza. Forse venivano utilizzati materiali gommosi, cera d'api e bianco d'uovo.

mercoledì 16 novembre 2011

L'Inno ad Aton


Il sole fu un elemento sempre presente nella vita degli egizi e numerose divinità erano a esso legate. In particolare, Aton rappresentava il disco solare nel firmamento. Sebbene la sua figura fosse già conosciuta nell'Antico Regno, Aton assunse maggiore importanza nel Nuovo Regno, durante l'Epoca Amarniana. Il faraone Akhenaton, durante il sesto anno del suo regno, lo dichiarò unico oggetto di culto e fece chiudere i templi dedicati agli altri dei. Egli stesso si proclamò suo unico sacerdote e profeta, e scrisse un inno in cui esaltava la grandezza del Sole, creatore di tutte le cose, e l'eguaglianza fra tutti gli uomini. La somiglianza tra questo inno e il salmo 104 del Libro dei Salmi dell'Antico Testamento fa pensare che la religione egizia e quella ebraica abbiano avuto per un breve momento una convergenza di elementi dottrinali (per un approfondimento ''Intervista su Akhenaton'').


Inno ad Aton:

''Come sono numerose le tue opere! Esse sono incomprensibili per l'uomo.

Dio unico, al di fuori di cui nessuno esiste. Tu hai creato la terra a tuo desiderio

quando eri solo con gli uomini, il bestiame e ogni animale selvatico

che cammina con i piedi, e che è nel cielo e vola con le ali.

E i paesi stranieri, la Siria, la Nubia, e la terra d'Egitto. Tu hai collocato ogni uomo

al suo posto, hai provveduto ai suoi bisogni, ognuno con il suo cibo

ed è calcolata la durata della sua vita. Le loro lingue sono diverse,

e anche i loro caratteri e le loro pelli. Hai differenziato i popoli stranieri.

E hai fatto un Nilo nel mondo sotterraneo del Duat, e lo mandi dove vuoi tu a portare vita alle genti.

Tu, signore di tutte loro, che ti affatichi per loro, o Aton del giorno, grande di dignità!

E anche in tutte le terre lontane e straniere fai che vivano anch'essi. Tu hai posto un Nilo in cielo,

che scenda per loro, faccia onde sui monti come un mare e bagna i loro campi e le loro contrade.

Come sono perfette le tue vie, o Signore dell'eternità!

Il Nilo nel cielo è per gli stranieri e per gli animali del deserto ma il Nilo viene dalla Duat per l'Egitto.

I tuoi raggi fanno da nutrice a tutte le piante. Quando tu splendi, esse vivono e prosperano per te.

Tu fai le stagioni per far sviluppare tutte le cose che crei,

l'inverno per rinfrescarle, l'estate perché godano di te.

Tu hai fatto il cielo lontano per splendere in lui e per vedere,

unico che splendi nella tua forma di Aton vivente, sorto e luminoso, lontano eppure vicino.

Tu fai milioni di forme da te, tu unico: città, villaggi, campi, vie, fiume.

Ogni occhio vede te davanti a sé e tu sei l'Aton del giorno sopra (la terra).

Quando sei andato via e dorme ogni occhio di cui tu hai creato lo sguardo

per non vederti solo, e non si vede più quello che hai creato, tu sei ancora nel mio cuore.

Nessuno ti conosce tranne tuo figlio Nefer-kheperu-Ra Ua-en-Ra.

Tu fai che egli comprenda i tuoi piani e capisca il tuo potere.

Le tue opere sulla terra sono nelle tue mani, proprio come tu le hai create.

Se tu splendi, esse vivono. Se tu tramonti, esse muoiono.

Sei la durata stessa della vita. Viviamo di te.

Gli occhi vedono la bellezza fino al momento del tuo tramonto a destra

e allora in quel momento ognuno cessa il lavoro che stava facendo.

Quando tu risplendi, infondi vigore per il Re,

e metti forza e agilità nelle gambe da quando hai fatto la terra.

Tu sorgi per tuo figlio, generato da te, Re della Valle e Re del Delta

che vive di verità, Signore delle Due Terre, Nefer-kheperu-ra, figlio di Ra,

Signore della Verità, Signore delle corone, Akhenaton dalla lunga vita

e per la grande sposa reale Signora delle Due Terre Nefer-neferu-aton Nefertiti,

da lui tanto amata. Possa ella vivere a lungo e rimanere giovane in eterno!''

martedì 1 marzo 2011

La maschera di Tutankhamon


La maschera di Tutankhamon, della XVIII dinastia, è il più celebre dei pezzi esposti al Museo Egizio del Cairo. Questo gioiello dell'arte universale è un magnifico esempio dell'alto grado di perfezione e di abilità raggiunto nell'oreficeria durante il Nuovo Regno. La maschera fu scoperta dall'inglese Howard Carter il 28 ottobre 1925. Quando l'archeologo aprì il terzo sarcofago, d'oro massiccio, comparve la mummia, con i gioielli sparsi tra le bende e la celebre maschera che copriva il volto del giovane re. Quest'ultima aveva lo scopo di proteggere magicamente il riposo del faraone. Le fattezze della maschera rappresentavano quelle del sovrano che, una volta rianimato, diventava un dio. Ecco perché nella realizzazione della maschera venivano utilizzati materiali nobili, come oro e pietre semipreziose. Per gli egizi la carne degli dei era l'oro e i capelli di lapislazzuli. Il volto del re appare idealizzato, ma, come aveva affermato Carter, esiste uno stretto legame fra le arti plastiche e il realismo. Inoltre, esistono ancora reminiscenze dell'arte amarniana. Il professor Douglas E.Darry, specialista di anatomia che esaminò la mummia di Tutankhamon, disse: ''La maschera d'oro rappresenta Tutankhamon come un giovane amabile e distinto. Coloro che hanno avuto la fortuna di vedere il volto scoperto della mummia possono constatare con quanta abilità, precisione e fedeltà alla natura dell'artista della XVIII dinastia abbia riprodotto i lineamenti. Nella sua opera ci ha trasmesso, per sempre e in metallo imperituro, un magnifico ritratto del giovane re''. Tuttavia molti studiosi recentemente hanno ricostruito il volto di re Tut, tutti i ritratti presentano un faraone leggermente diverso da quello della maschera. Inoltre, negli ultimi anni, il dottor Nicholas Reeves ha presentato diversi studi su come anche la maschera di Tutankhamon fu usurpata; infatti, dietro all'orecchio è possibile vedere una saldatura.


Dati:
Materiali: oro, lapislazzuli, cornalina, ossidiana, quarzo, turchese e paste vitree;
Altezza: 54 cm;
Larghezza: 39,3 cm;
Peso: 11 kg;
Archeologo: Howard Carter;
Luogo: Valle dei Re, KV62;
Sala: n°3.

mercoledì 26 gennaio 2011

La tomba di Ramose


La tomba tebana n°55 di Qurna apparteneva a un nobile di nome Ramose, vissuto verso la fine della XVIII dinastia (1552-1305 a.C.). Le scene rappresentate nel suo ipogeo costituiscono una delle più belle espressioni nella storia dell'arte antica. Ramose fu visir e governatore della città di Tebe alla fine del regno di Akhenaton. La sua tomba non terminata si trova ai piedi della collina di Qurna. Ramose, fedele al suo padrone e signore, lo seguì fino a Tell el-Amarna, dove fu fondata la nuova capitale dell'Egitto. Probabilmente Ramose fece scavare qui una tomba, che però non è stata ancora individuata. L'ipogeo tebano del visir è un capolavoro della XVIII dinastia, la pianta ha la classica forma a T rovesciata delle tombe tebane. La sala ipostila, l'unica parte decorata, e la cappella sono più grandi del normale. Il soffitto della sala era sostenuto da 32 colonne papiriformi a capitello chiuso, che non di dono conservate; qualcuna è stata ricostruita. La cappella, oggi inaccessibile, terminava in una nicchia. Tuttavia, l'interesse artistico della tomba sta negli stili decorativi. Come nei vicini sepolcri di Kheruef e Parennefer, in quello di Ramose compaiono le prime testimonianze dell'arte amarniana. L'ipogeo fu scavato dall'inglese H.W.Villiers Stuart nel 1879. Come altre tombe di Qurna, anche quella di Ramose si è deteriorata. La crescita urbanistica della zona ha provocato un aumento dell'umidità, causando difetti nei rilievi e nelle pitture murali.


La tomba di Ramose è uno dei pochi ipogei decorati sia con dipinti sia con rilievi. Nella sala ipostila, si notano due stili completamente contrapposti: Da una parte, i dipinti della parete sud e i rilievi di Amenhotep III, di stile classico; dall'altra, lo stile dell'arte amarniana nella parete ovest. La decorazione delle due pareti dell'entrata della sala ipostila è costituita da rilievi incisi su pietra calcarea. Le rappresentazioni sono molto raffinate e i particolari molto lavorati. I rilievi della parete est sono di una perfezione irreale, caratteristica dell'arte funeraria della fine del regno di Amenhotep III. Qui sono le scene del banchetto, che facevano riferimento alla vita quotidiana; servivano per esprimere un'idea chiara della rinascita. Lo stile è rigido, tradizionale, ma di una eleganza e di una purezza straordinarie. Ramose viene spesso raffigurato insieme a sua moglie Maya. Nella parete ovest, si trova un rilievo che raffigura Akhenaton nell'atto di adorare il dio Aton. Altre due scene rappresentano Ramose in compagnia di Akhenaton, una di stile classico, in cui Ramose offre fiori al monarca e alla dea Maat, e l'altra di stile amarniano, in cui il sovrano e la sua sposa assistono alle cerimonie in onore del defunto. La parete sud della sala è decorata con una serie di pitture che illustrano la celebre processione funeraria di Ramose. In esse sono raffigurate le famose prefiche dell'inumazione, così come il corteo funebre e i portatori del corredo funerario destinato alla tomba di questo nobile.

giovedì 6 gennaio 2011

L'Ambiguità della Sfinge


''Proteggo la cappella della tua tomba, sorveglio la tua porta. Scaccio gli estranei..Getto a terra i nemici e le loro armi. Distruggo i tuoi avversari nei loro covi e faccio in modo che non tornino mai più''. Questa iscrizione su una sfinge della XXVI dinastia ne rivela la funzione protettrice.

La Sfinge sorvegliava l'ingresso all'aldilà e ai santuari. Il nome egizio shesep ankh, significa ''immagine vivente'', uno dei titoli con cui era conosciuto Atum. Nella forma tipica presentava corpo di leone e testa di uomo (Androsfinge), montone (Criosfinge) o falco (Ieracosfinge). Benché ne esista una a figura femminile, quella di Hatshepsut, il suo aspetto è generalemente maschile. La raffigurazione del sovrano come sfinge comparve nel'Antico Regno, associata al dio sole Ra, e perdurò fino alla fine dell'epoca dei faraoni. Nonostante la sua funzione protettrice, vi sono gioielli in cui il faraone, rappresentato come sfinge, schiaccia i suoi nemici. Al tempo del Medio Regno, intorno al volto del re fu scolpita una criniera felina (a sinistra Amenhemet III), che gli conferiva un aspetto più feroce. In tal modo l'artista sommava all'intelligenza del faraone la forza del leone. La testa della sfinge, come si è detto, poteva subire delle variazioni:


Androcefala
Questo tipo di sfinge è una figura con corpo di leone e testa umana, che di solito rappresentava un faraone.






Cricefala
La sfinge con testa di montone era legata ad Amon e veniva posta vicino ad un tempio a lui dedicato.








Ieracocefala
La sfinge con testa di falco è associata alle divinità come Ra e Horus o con sembianze di falco.








Anche se nella Creta minoica e nel Vicino Oriente già si conoscevano rappresentazioni di esseri ibridi, con l'espansione del regno faraonico, il tema della sfinge si diffuse ulteriormente. Per i Greci, le sfingi erano figure femminili con corpo di leone e ali, che portavano nell'aldilà i soldati morti in battaglia. La più famosa fu quella inviata a Tebe da Era, che solo Edipo riuscì a risolverne l'enigma. Invece, nel Vicino Oriente, la sfinge custodiva il re divinizzato. Come in Egitto, sorvegliava anche i santuari, specialmente quelli legati ad Apollo, ad esempio a Delo, e compariva sulle porte della città, come nella capitale ittita Hattusa.


(sopra a sinistra sfinge di avorio proveniente dalla città Assira Nimrud)

martedì 7 dicembre 2010

I simboli della regalità

Nelle raffigurazioni il faraone si riconosce con facilità, grazie a una serie di oggetti che porta o che indossa, i quali lo identificano come colui che governa. Sono simboli della regalità.
Dall'epoca predinastica i governatori delle due confederazioni-quella del Basso e quella dell'Alto Egitto-portavano simboli che li identificavano come faraoni. Quando il paese si unificò (3100 a.C.), il nuovo sovrano recuperò e assimilò molti di essi, che rappresentavano il governo, la protezione e il carattere divino del re. Ma, nel corso della storia dell'Egitto faraonico, il monarca ne aggiunse o ne modificò alcuni, conservandone altri. I più rappresentati furono forse le corone: quella bianca(Hedjet) è la più antica che si conosca, mentre quella rossa(Deshert) e quella doppia(Pa Skhemet) si vedono già nella tavolozza di Narmer. Altre, come quella azzurra, la Khepresh, fatta di tela sulla quale venivano incisi dischi dorati, è stata identificata come un elmo da guerra; comparvero più tardi, mentre quella atef veniva utilizzata solo in alcune occasioni. Il serpente protettore del faraone, l'ureo, è uno dei simboli del re risalenti a prima dell'unificazione, poichè rappresenta la dea del Basso Egitto, Uadjet. Veniva raffigurata accanto a Nekhbet, simbolo dell'Alto Egitto, su un diadema o a partire dal Medio Regno, sulla corona sotto forma di avvoltoio.


Oltre alle corone, il sovrano portava sulla testa il nemes, una specie di fazzoletto a righe che copriva la fronte, pendeva sulle spalle e dietro arrivava fino alla schiena, dove terminava in una sorta di coda. Sopra di esse venivano indossate le corone, ma il nemes veniva propriamente identificato come una di queste. Nelle mani teneva scettri raffiguranti il potere o l'autorità, che risalivano a epoche predinastiche-come l'Uas, identificato con un animale totemico e di significato funerario. Lo scettro era allungato e terminava a un capo in una specie di testa di cane, considerato a volte come il simbolo di Seth, e dall'altro lato era brifido. Lo scettro Heqat, raffigurante il governo, dritto e terminante in una testa curva e arrotondata, è anch'esso molto antico. Alcuni simboli furono associati a una divinità prima che al faraone, come il flagello, emblema di Osiride, di Min e di qualche animale sacro. Un altro scettro era il Sekhem, con il quale il faraone era raffigurato nell'atto di attaccare i nemici e che venne utilizzato anche da alcuni personaggi importanti.

Il mio nuovo libro: Immortali - Le mummie di uomini e donne dell'antico Egitto.

 Con questo post voglio inaugurare il nuovo blog. Ormai è passato circa un anno dal mio ultimo post ed è arrivato il momento per me di torna...