Le due statue (m.16,60 + 2,30 di piedistallo)
fiancheggiavano l'ingresso del tempio funerario di Amenhotep III, oggi quasi
completamente scomparso. Rappresentano entrambi il re seduto, con ai lati, di
proporzioni ben più piccole, due donne, la madre Mutemuia e la "grande
sposa" Ty.
Memnone è un personaggio omerico; figlio dell'Aurora, re
etiope, accorse in aiuto di Troia e perì sotto le sue mura per mano di Achille.
Nell'immaginazione dei visitatori di età classica, l'eroe, raffigurato nella
statua spezzata, all'alba salutava la madre con quel suono "come di corde
di cetra che si spezzassero”. La cosa risale al 27 a.C., quando in uno dei due
colossi si determinò, per un terremoto, una fenditura. Nel 120 d.C. visitò il
sito anche l'imperatore Adriano, accompagnato dalla moglie Sabina e dalla
poetessa Julia Balbilla, di cui sono rimasti incisi sulle gambe dei colossi
quattro epigrammi.
Sui colossi di Memnon, è possibile leggere addirittura la
testimonianza di un probabile sopravvissuto all'eruzione vesuviana del 79 d.C., proprio quella che spazzò via Pompei e Ercolano:
"Suedius Clemens Praefectus castrorum audi Memnonem,
III idus novembres, anno III imperatoris nostri".
"Suedio Clemente. Praefectus castrorum (Responsabile
del Castrum ), udì Memnone, il 12 novembre del III anno (80 d.C.) del nostro
imperatore".
Suedio Clemente era presumibilmente a Pompei durante
l'eruzione, poiché è possibile datarne la presenza certa fino al 77 d.C.,
quando prese parte alla campagna politica dell'aspirante duoviro Epidio Sabino.
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