Della vita di
Alessandro si conoscono gli alti e i bassi, i gusti, i retroscena: la grande
carica di cavalleria a Gaugamela che spazzò via l'esercito persiano, l'amore
per Efestione e la sua sconfinata generosità che era pari solo all'immensa ira
che covava nei confronti di coloro che lo tradivano. Alessandro il grande è una
figura che non costituisce un enigma ed è solo la sua morte che cela un segreto
millenario: l'ubicazione della sua tomba.
Alessandro nacque a
Pella, nel nord della Grecia, il 20 luglio del 356 a.C., da suo padre Filippo
discende, secondo la leggenda, da Ercole, da sua madre Olimpiade discende da
Achille. Aristotele fu il suo maestro, Bucefalo il suo cavallo leggendario: a
20 anni diventa re, a 25 invade l'Egitto e diventa faraone, a 26 anni decide di
conquistare l'India e gettare così nuovi confini alle terre conosciute,
un'impresa che sembra sovrumana già a chi lo venera come un dio. A soli 32
anni, un mese prima del suo compleanno, Alessandro muore a Babilonia.
Molte sono le teorie
legate alla sua morte, c'è chi sospetta che venne avvelenato, chi ipotizza che
morì di malaria e così altre decine di teorie, ma procediamo con calma e
cerchiamo di ricostruire il quadro medico.
A parte le numerose
ferite agli arti riportate in battaglia, un anno prima della sua morte aveva
sofferto di un trauma penetrante all'emitorace destro, complicato da
emopneumotorace. Non fumava tabacco (arrivato in Europa solo dopo il 1500), ma
si concedeva abbondanti ancorché saltuarie libagioni divino: la sindrome che lo
avrebbe portato a morte iniziò a manifestarsi — con astenia intensa e dolori
diffusi a tutto il corpo — proprio il giorno successivo a una notte di
baldoria, generosamente annaffiata con 12 pinte di vino. E la sera dopo,
consumata un'analoga quantità d'alcool, Alessandro aveva lamentato dolori
lancinanti al quadrante addominale superiore destro.
Nei giorni seguenti,
il quadro clinico era stato dominato dalla febbre e da un progressivo
deterioramento delle condizioni generali. Soprattutto, l'astenia era peggiorata
rapidamente, al punto che già all'ottavo giorno di malattia il paziente non era
più in grado di parlare e riusciva a malapena a muovere occhi e mani.
L'undicesimo giorno, il grande condottiero entrò in coma e spirò. Malaria
acuta, pancreatite, perforazione intestinale da infezione tifoidea con paralisi
ascendente, poliomielite, intossicazione acuta da piombo e persino
avvelenamento da arsenico (nel vino): queste e altre ancora le ipotesi avanzate
dagli storici per giustificare il rapido e inarrestabile declino del pur
giovane e vigoroso comandante. A uccidere il condottiero macedone sarebbe
stata, secondo la mia opinione, la febbre del Nilo occidentale: una sindrome
virale (causata dal cosiddetto «West Nile virus») che non era stata presa in
considerazione nella rassegna pubblicata nel 1998 sul «New England Journal of
Medicine», in mancanza di una precisa collocazione nosografica. Alla mia
personale interpretazione, si aggiunge quella del Dr. John S. Marr epidemiologo
del Virginia Department of Health, che si era già occupato delle dieci piaghe
d'Egitto e della morte dell'ultimo imperatore degli Inca, Hayna Capac; mentre è
al Dr. Calisher - qualificato microbiologo della Colorado State University -
che si deve presumibilmente l'indagine diagnostica che ha potuto escludere le
diverse ipotesi infettivologiche di volta in volta considerate responsabili
della morte di Alessandro. E prima di ogni altra il presunto avvelenamento del
re macedone: «Solo pochi veleni -
scrivono infatti Marr e Calisher - erano disponibili ai tempi di Alessandro,
tra cui salicilati, alcaloidi e micotossine, e nessuno di essi avrebbe potuto
causare una febbre così elevata».
Sappiamo dunque che
Alessandro morì nella tarda primavera del 323 a.C., nell'area dell'attuale città
di Baghdad, in Iraq, a causa di una malattia durata due settimane e
caratterizzata da febbre e segni che supponiamo indicativi di una forma
encefalitica. Nelle precedenti ipotesi diagnostiche l'encefalite da West Nile
virus non era invece stata inclusa. Forse perché, avendo il virus fatto la sua
comparsa negli Stati Uniti solo nel 1999, prima di allora nessuno aveva fatto
caso a un episodio - accuratamente riportato da Plutarco - riguardante il
comportamento bizzarro e la morte di numerosi corvi fuori dalle mura di
Babilonia. Alla luce di questa e altre osservazioni, ritengo che si possa oggi
proporre una valida interpretazione diagnostica per la morte di Alessandro:
un'encefalite provocata dal virus West Nile e complicata da una paralisi
flaccida, cioè con perdita del tono muscolare. Il virus del Nilo occidentale
(che come altri flavivirus si trasmette all'uomo attraverso le punture di un
insetto) è stato isolato per la prima volta in Uganda nel 1937, ma i primi casi
della malattia umana sono stati descritti negli Stati Uniti solo tra il 1999 e
il 2000. Nel 2002 si contavano 4156 contagiati americani, e 284 vittime; nel
2003 il numero degli infetti negli Stati Uniti è salito a 8694, fortunatamente
senza un parallelo aumento dei decessi. Nel Colorado, dove l'epidemia del 2003
ha colpito 2945 persone, nel 79 per cento dei casi la febbre del Nilo
occidentale si è manifestata nella forma più lieve, con febbre e spossatezza.
Ma è ormai risaputo che l'infezione può avere un decorso assai più severo,
causando encefalite o una paralisi flaccida acuta che ricorda la poliomielite.
L'enigma scientifico
relativo agli ultimi giorni di vita di Alessandro è stato seguito fin dagli
esordi, con passione e competenza anche da Donato Fumarola, già professore di
microbiologia medica all'Università di Bari: «La febbre del Nilo occidentale - spiega Fumarola - è una malattia
infettiva emergente e ubiquitaria (è infatti presente negli Stati Uniti e in
Canada, in Europa e in Africa settentrionale, così come in Asia Minore) che può
colpire con una forma neurologica, una grave encefalite, spesso letale sia per
gli animali che per l'uomo». Sensibili all'azione del virus del Nilo
appaiono sia gli animali selvatici che quelli domestici e da reddito, e tra
questi ultimi soprattutto i cavalli. Qual è dunque il nesso tra questo agente
virale e la misteriosa malattia che portò alla morte Alessandro Magno? Fumarola
ci aiuta a comporre le tessere del puzzle: «Come
serbatoio del virus funziona sia l'animale sano (o asintomatico) sia quello
ammalato; come vettore, invece le più varie specie di zanzare Culex. In questi
ultimi anni, però, il serbatoio più significativo è rappresentato dai volatili:
in particolare dai corvi, le cui morie da virus del Nilo occidentale sono state
ampiamente segnalate in letteratura». Si tratta in pratica di un virus che
può passare dagli uccelli alle zanzare, e da queste all'uomo. Quando infatti le
zanzare infettate dal virus pungono un vertebrato suscettibile, il virus può
essere trasmesso a quest'ultimo. Gli uccelli funzionano da ospiti
«amplificatori» e il grado di amplificazione dipende dalla specie aviaria, da
condizioni ambientali e da altri fattori. Sono i volatili in fase viremica a
rifornire le zanzare di pasti a base di sangue infetto, e queste ultime
provvedono successivamente a trasferire l'infezione da West Nile virus agli
uomini. Gli uccelli ammalati manifestano sintomi diversi, tra i quali tremore,
posture anomale, disorientamento, e anomalie del comportamento; e finiscono
spesso per soccombere alla malattia.
Il riferimento ai
corvi emerge con chiarezza dalla lettura del volume di Plutarco sulla vita di
Alessandro: Il grande storico greco racconta che Alessandro il Grande,
rientrato dall'India e giunto presso le mura di Babilonia, s'imbattè in uno
stormo di corvi che, lottando fra di loro, si beccavano furiosamente. Molti
caddero morti ai piedi del re, che - pur rassicurato dai suoi indovini - ne
trasse severi auspici. E ripetuti, si ritrovano nell'opera di Plutarco, altri
riferimenti agli incontri ravvicinati tra Alessandro e gli uccelli -
specialmente i corvi. Quanto agli insetti, diverse sono le specie di Culex
coinvolte in Iraq nella trasmissione dell'infezione da West Nile virus. Le
inondazioni primaverili del Tigri e dell'Eufrate forniscono un ideale substrato
riproduttivo per le zanzare, delle quali è ben nota la predilezione per le zone
paludose. Ma è stato soprattutto il quadro clinico del morbo che stroncò la
giovane vita del condottiero macedone, e che si evince dall'analisi attenta del
testo di Plutarco, a convincere Marr e Calisher. Premesso che l'ipotesi
dell'avvelenamento, pratica abbastanza comune a quei tempi, gode di scarsissimo
credito da parte dello stesso Plutarco (anche perché Alessandro era in realtà
meno dedito al vino di quanto potesse apparire), la sintomatologia presentata
dal condottiero nei suoi ultimi giorni di vita fu tale da suggerire agli
studiosi contemporanei l'idea che potesse aver contratto la forma encefalitica
della febbre del Nilo: l'esordio della malattia, la febbre violenta e costante,
la grande sete e il delirio finale, insieme con l'impossibilità di muoversi e
di mantenere la stazione eretta (una vera e propria paralisi flaccida). La
critica più fondata che si può muovere a quest'ipotesi è legata alla
stagionalità dell'infezione da virus «West Nile» nell'uomo. Alessandro,
infatti, si ammalò in maggio, mentre per esempio la maggior parte dei casi
registrati nell'epidemia verificatasi nel 2000 in Israele - paese che si trova
alla stessa latitudine dell'Iraq - si sono avuti da luglio a settembre (e pochi
altri in giugno). La maggiore amplificazione del virus, nelle zanzare e negli
uccelli suscettibili, si raggiungerebbe solo alle temperature che
caratterizzano l'estate piena. Ma la temperatura media in Iraq in maggio è di
29 gradi - più elevata di quella che si riscontra nello stesso periodo a Tel
Aviv (24 gradi) - e dunque una primavera più calda del solito in Iraq nel 323
a.C. potrebbe essersi rivelata fatale ad Alessandro, determinando un più
precoce inizio della replicazione virale nei corvi, e un'inspiegabile mortalità
in quei volatili. A quei tempi gli oracoli erano attenti osservatori del
comportamento degli uccelli, e Plutarco ritenne di dover riferire quel bizzarro
episodio capitato al re macedone al suo ingresso a Babilonia. Né sorprende che
un tale evento nel 323 a.C. possa essere stato considerato come un presagio
della fine imminente e prematura del condottiero. La sua morte continua ancor
oggi a richiamare l'interesse degli storici, ed è probabile che anche
un'ipotesi diagnostica aggiornata e ben strutturata, come quella sostenuta da
me e da Marr e Calisher, venga in futuro rimessa in discussione: appare
tuttavia ben difficile, a più di 2300 anni dai fatti, che si riesca a trovare
un testimone più attendibile di Plutarco.
Dopo la sua morte, i
generali di Alessandro getteranno il mondo in una serie infinita di guerre che
avevano come unico scopo quello di accaparrarsi non solo il suo regno ma anche
il corpo del condottiero. Tolomeo, Seleuco, Cassandro, Cratero e tutti gli
altri erano ben consapevoli, che chiunque fosse entrato in possesso delle
spoglie del condottiero macedone, sarebbe sembrato agl'occhi della storia
l'erede legittimo. Infine fu Tolomeo,
amico fidato del re, ad ottenere le spoglie del sovrano.