Storico, geografo, osservatore
dei costumi e viaggiatore infaticabile, Erodoto fu il primo a descrivere la
civiltà egizia. I suoi resoconti sono giunti fino a noi, ma vanno interpretati
con una certa cautela: anche se involontariamente, infatti, l'autore non poté
fare a meno di incappare in qualche inesattezza e approssimazione.
Secondo Cicerone, Erodoto fu
"il padre della Storia". Nella sua immensa opera, raccolta appunto
sotto il titolo di Storie, questo autore greco riunì tutto quello che gli
riuscì di vedere, ascoltare e annotare durante i suoi numerosi viaggi compiuti
in tutto il mondo antico. Di lui si sa ben poco: nata ad Alicarnasso tra il 485
e il 480 a.C. da una famiglia benestante, verso il 460 partecipò a un complotto
contro il tiranno della città, Ligdami. Quando il piano fallì, Erodoto fu
costretto all'esilio nell'isola di Samo. Nel 445 era nuovamente ad Atene dove,
insieme a spiriti illuminati come Sofocle, Euripide e Fidia, faceva parte della
ristretta cerchia dei collaboratori di Pericle. Infine, verso il 443, partecipò
alla creazione della colonia di Turi, dove visse una ventina d'anni e morì tra
il 419 e il 413. Duecento anni dopo la sua morte, alcuni storici della cerchia
di Apollodoro ripresero in mano le sue Storie e le suddivisero in nove libri, a
ciascuno dei quali fu dato il nome di una musa.
L'ode a Euterpe
Il secondo libro delle Storie,
interamente dedicato all'Egitto, porta il nome di Euterpe, la musa della lirica
poetica e della musica. Sappiamo che Erodoto viaggiò lungo la terra del Nilo
intorno al 450 a.C.: risalì il grande fiume fino a Elefantina, visitò le città
del Delta e poi Menfi, Ermopoli, Chemnis e Tebe. Ispirato da Euterpe, lo
storico volle trattare tutti gli aspetti della vita del paese, dalla fauna alla
flora, dalle abitudini quotidiane alle tradizioni religiose, fino alle
conoscenze tecniche e scientifiche del V secolo a.C. Si soffermò, inoltre, sul
calendario egizio, sugli animali sacri, sui metodi di imbalsamazione, sulla
leggenda di Osiride e sulle inondazioni del Nilo, descrivendo anche la piramide
di Cheope e le campagne militari di Sesostri.
A dispetto della verità di
argomenti, l'affidabilità di questo "reportage" sull'antico Egitto è
stata messa spesso in discussione. Le fonti di Erodoto erano costituite in
buona parte da resoconti orali, cioè da conversazioni intercorse con egizi di
diverse classi sociali e che esercitavano mestieri di ogni tipo. L'autore
intervistò anche dei commercianti greci stabilitisi in Egitto e degli egizi di
origine ellenica. Ebbe così la possibilità di discutere con le persone addette
all'accoglienza degli stranieri, con le guide, con i sacerdoti e con i
guardiani di asini, dai quali, probabilmente, venne a conoscenza di
chiacchiere, pettegolezzi e dicerie riguardanti le personalità più in vista
dell'epoca. A volte, poi, Erodoto fornì diverse versioni dello stesso
avvenimento: l'intento era permettere al lettore di crearsi la propria
opinione, ma la cosa poteva anche generare ulteriore confusione in coloro meno
avvezzi allo studio metodico. In definitiva, tra descrizioni contrastanti,
imprecisioni e qualche inesattezza, sarebbe stato davvero difficile distinguere
il vero dal falso se non ci fosse venuta in soccorso l'archeologia.
Gli errori di Erodoto
Di fatto, nella descrizione
dell'Egitto, definito da Erodoto "un dono del Nilo", si alternano
dettagli molto precisi ma anche notevoli approssimazioni. L'autore, per
esempio, calcolò correttamente le distanze tra Eliopoli, Tebe ed Elefantina, ma
fornì informazioni non sempre vere sulla piramide di Cheope: in primo luogo,
riportò misure errate; inoltre, scrisse che la camera funeraria del faraone era
situata al centro del monumento, come effettivamente è, ma aggiunse che la
stessa era circondata dall'acqua, cosa che non corrisponde alla realtà. Anche
la descrizione dell'ippopotamo era piuttosto confusa: secondo Erodoto, questo
animale aveva una criniera simile a quella del cavallo. Più precise invece
erano le notizie sui periodo storici a lui più vicini, riguardanti per esempio
la XXVI dinastia o il faraone Shabaka.
Una delle maggiori fonti di
confusione per gli studiosi che hanno lavorato sui testi di Erodoto deriva da
una vera e propria mania dello storico: adattare in greco i nomi egizi, a
cominciare da quelli dei sovrani, abitudine che utilizzò anche con le divinità,
così, la dea Bastet divenne Artemide e Thot diventò Ermes.
Una singolare cronologia
Proprio nel trattare la vita di
alcuni faraoni e la cronologia dei loro regni, però, Erodoto si dimostrò quanto
mai impreciso: più gli avvenimenti narrati erano lontani nel tempo, più i dati
diventavano incerti. La sua cronologia dei monarchi delle prime dinastie ha
dato non pochi grattacapi a noi egittologi, che ci siamo trovati di fronte a un
vero rebus. La sequenza temporale, in particolare, è piuttosto disordinata, e
un esempio su tutti può dimostrarlo: nella versione di Erodoto, Cheope, faraone
della IV dinastia, è collocato dopo Ramses III, re della XX dinastia. A creare
ulteriore confusione, come si è detto, contribuì la smania di Erodoto di
tradurre in greco i nomi egizi: non è dato sapere, per esempio, se un certo
faraone chiamato Rampsinite fosse in realtà Ramses III o il suo predecessore. E
il nome Min si riferisca al re Menes della cronologia di Manetone? Non mancò,
poi, l'aggiunta di informazioni dubbie o difficilmente verificabili, come
quella relativa a una spedizione di Sesostri nella lontana Colchide (la terra
di Medea e del Vello d'oro), sul mar Nero: un avvenimento mai riscontrato dagli
archeologi. Altrettanto dubbia è l'enumerazione dei faraoni etiopi: secondo
Erodoto furono diciotto, ma ufficialmente se ne conoscono solo cinque.
La parola alla difesa
Erodoto cercò di racchiudere in
un solo libro tremila anni di storia dell'antico Egitto. A sua disposizione,
però, aveva solo testimonianze verbali, che egli completò con le sue
osservazioni personali. Fino a quel momento, infatti, non esistevano altre
opere dedicate alla civiltà egizia. Erodoto, inoltre, visitò molte città, ma
non si fermò mai troppo a lungo nello stesso posto; soprattutto, non conosceva
la lingua locale né era in grado di interpretare i geroglifici. In simili
condizioni, il suo immenso lavoro rimane comunque prezioso. Nonostante le
imprecisioni, lo storico greco ebbe infatti il merito di fornire un'inedita
descrizione del paese, animata per di più da curiosità ed entusiasmo degni di
un moderno reporter. Se si considerano i mezzi che aveva a disposizione, non
avremmo potuto chiedergli di più. La sua opera, perciò, rimane una miniera di
informazioni, cui va riconosciuta se non altro la volontà di dimostrarsi utile alla
conoscenza dell'affascinante terra delle piramidi.