domenica 2 febbraio 2014

Nefertari: ruolo politico e privato

L’Antico Egitto è da sempre una particolare eccezione alla condizione della donna nella storia antica, infatti nel mondo egizio la donna aveva per natura la stessa importanza dell’uomo, anzi furono molti gli esempi di donne talmente importanti da offuscare completamente gli uomini che ebbero intorno; regine come Hatshepsut o Nefertiti. Tuttavia ci fu una sovrana che non solo riuscì a essere una figura straordinaria, tanto da entrare nella leggenda, ma per farlo non ebbe neanche il bisogno di oscurare suo marito, anzi, Nefertari riuscì non solo a essere la sposa prediletta di Ramses II, ma anche ad aiutarlo e a sostenerlo nella gestione del regno. Suo marito è stato il faraone più potente e famoso dell’Antico Egitto, Ramses II (1303 a.C. – 1212 a.C) è da sempre protagonista non solo di libri e volumi storici, ma anche di romanzi di ogni sorta. Figlio di Sethi I e della regina Tuya, fu il terzo faraone della XIX dinastia, in un periodo d’oro della storia egizia, cioè il Nuovo Regno. Passato alla storia per la battaglia di Qadesh, per l’enorme numero di cantieri aperti in tutto l’Egitto o per essere il probabile faraone dell’Esodo, Ramses II ha segnato la sua era e le sorti della storia egizia; poiché, dopo la sua morte i suoi eredi non riuscirono a tenerne il passo.
Nefertari in tutto questo si colloca esattamente alla sua destra, non fu solo sua moglie, ma anche la più preziosa dei suoi consiglieri. Nata nel medio Egitto, probabilmente ad Akhmin, molti egittologi hanno sostenuto che potesse essere una discendente del faraone Ay, che fu un potente funzionario alla corte del faraone eretico Akhenaton, e che riuscì poi a sua volta a diventare re dell’Egitto. Questa ipotesi è stata sostenuta per un motivo in particolare, nella tomba di Nefertari (QV66), sita nella Valle delle Regine, è stato rinvenuto un pomello con il cartiglio del faraone Ay, che spiegherebbe quindi anche la teoria di una possibile legittimazione al trono dei faraoni ramessidi, non avendo sangue reale, cercarono probabilmente di intrecciare legami con gli aristocratici più importanti. 

Nei titoli della regina, compaiono epiteti come: moglie del Dio, moglie del re, padrona dell’Alto e del Basso Egitto e Signora delle due Terre. Questi tuttavia non furono gli onori più grandi che le furono riservati, il dono maggiore fu il tempio minore di Abu Simbel, dove Ramses II la divinizzò paragonandola alla dea dell’amore: Hathor. All’interno del tempio, compare un regalo ancora più grande. In una scena scolpita nella dura roccia, Nefertari è rappresentata mentre le dee Iside e Hathor le poggiano la corona sulla testa, una scena mai dedicata a una donna e che non fu mai replicata; infatti, era un onore riservato ai faraoni. Cosa aveva fatto quindi Nefertari per meritarsi tali ossequi?
La regina fu una fine diplomatica e una scaltra politica, non solo curò i rapporti diplomatici con la terra degli Ittiti, con i quali gli egizi erano in guerra da anni, ma organizzò anche il matrimonio di suo marito con alcune principesse ittite, come strumento di pace e fratellanza fra i due regni. Nel trattato di pace che gli egizi e gli ittiti stipularono, il primo della storia, ci fu il suo zampino; riuscì non solo a mettere fine a un conflitto che durava da molto tempo, ma riuscì anche a mantenere la pace attraverso un rilevante carteggio con la regina ittita Pudukhepa. In realtà le due regine, non solo si scambiavano lettere e informazioni, ma anche doni dei più importanti, come gioielli e mobili preziosi. In una lettera che Nefertari inviò alla regina di Hatti si legge:

“Così dice Nefertari, la grande regina d'Egitto, a Pudukhepa, la grande regina di Hatti, mia sorella...”

Quindi le due sovrane non solo strinsero una profonda alleanza, ma anche un importante rapporto personale, che raramente si è riscontrato nella storia di due regine; poi la lettera continua dicendo:

“A me, tua sorella, va tutto bene e così anche al mio paese. Che possa andare tutto bene anche a te sorella mia e al tuo paese. Ho notato, che tu, mia sorella, hai scritto per chiedere della mia salute e per domandare della nuova e buona relazione di pace e fratellanza fra il grande re dell'Egitto e suo fratello, il grande re di Hatti”

Da questo scritto possiamo capire il tipo di rapporto che le due regine intrattennero, così come quello che aiutò Ramses II a relazionarsi con il re degli Ittiti, Hattusili III.
L’epistola poi informa anche la regina Pudukhepa del fatto che le ha inviato dei regali per lei e per suo marito, assicurandosi di specificare l’importanza di questo gesto:

“Ti ho mandato un regalo sorella, una collana di oro puro, composta di dodici bande e ottantotto sicli di peso e ho mandato un regalo anche per il re, dodici capi di lino con cui il re può ottenere un vestito regale per se stesso”.

La regina non fu solo una mente diplomatica, ma diede anche diversi figli al re suo marito, circa nove o dieci, però dei maschi nessuno sopravvisse al padre, e Ramses scelse come suo successore Merenptah, figlio di una moglie secondaria: Isetnofret.

La fine di Nefertari è anch’essa legata alla leggenda, infatti non ci sono dati archeologici che ci dicono la verità storica della sua morte; ciò nonostante la leggenda che avvolge il suo decesso è molto indicativa. Il mito vuole che nel venticinquesimo anno di regno di Ramses II avesse luogo il viaggio d’inaugurazione dei templi di Abu Simbel, durante questo tragitto, forse la regina si ammalò, ma ciò nonostante volle presenziare alla cerimonia di apertura. La sovrana, ormai quarantenne, arrivò alla soglia del tempio piccolo e con il suo ultimo respiro baciò il marito, alzò gli occhi verso la scena dell’incoronazione e ispirò. Il corpo fu sepolto in una tomba bellissima, la QV 66 (QV = Queens Valley), considerata la cappella Sistina dell’antichità. Oggi di Nefertari ci restano pochi oggetti, ma fra questi ritroviamo un paio di sandali semplicissimi, conservati oggi al Museo Egizio di Torino, che ci testimoniano la grazia e la semplicità con la quale questa donna camminò nel nostro mondo circa tremila anni fa. Sicuramente la sua morte ha più del romanzesco che dello storico, quasi ci ispira concetti da metafisica kantiana o di purezza jeffersoniana, ma il messaggio che ne deriva rende il concetto stesso di potere più femminile e meno cinico di quanto siamo abituati a pensare.


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