L'antico Egitto ha da sempre attirato le simpatie di coloro che cercano misteri o enigmi extraterrestri, per questo motivo, nonostante gli sforzi degli esperti, esistono decine di false leggende legate agli egizi che trovano ancora una difficile "risoluzione". La difficoltà non sta per noi specialisti nel dare delle risposte ma è nell'abbattere il preconcetto generale, perché è più facile, così come facevano gli uomini primitivi, imputare ciò che non comprendiamo o non conosciamo a fenomeni divini o alieni, invece di rimboccarsi le maniche e lavorare per trovare una risposta.
Seguendo questo concetto ho deciso finalmente di affrontare una di queste leggende metropolitane: le cosiddette "lampade" di Dendera. Per fare ciò, a differenza dello standard morfologico che uso di solito, fornirò delle risposte a delle ipotetiche domande che potrebbero essermi poste da coloro che cercano delle informazioni al riguardo.
In altri luoghi dell'Egitto possiamo trovare qualcosa di simile
alla famosa scena scoperta da Mariette?
Nella raffigurazione
in questione, che si trova all'interno della quarta Cripta, ci ritroviamo
davanti ad immagini cosmogoniche, che non hanno nulla di anacronistico o di unico.
Quindi nessun precursore di Thomas Edison
e Joseph Wilson Swan abitava nell'antico Egitto. Infatti è possibile
vedere figure identiche non solo all'interno del Tempio di Dendera, nella camera
che Mariette chiama "chambre V", ma anche in altri luoghi. Possiamo trovare
qualcosa di simile a Edfu ad esempio, proprio per testimoniare che certe rappresentazioni
non sono insolite, anche quando si parla di miti differenti.
Nondimeno, bisogna specificare che queste
scene sono tipiche di Dendera perché lì ha origine il mito della nascita di Horus
Sematawi, visto che ci ritroviamo nel tempio della madre. In generale le persone
credono che il politeismo egizio fosse diffuso costantemente e ugualmente in tutto
l’Egitto, quando in realtà ogni città aveva i propri principali esseri divini da
adorare. Per fare qualche esempio, posso citare Osiride ad Abydos, Amon a Tebe o
Ptah a Menfi. Conseguentemente è normale
che in altri templi ci imbattiamo solo in raffigurazioni simili, è un po’ come se
un cattolico trovasse un dipinto greco-ortodosso al Vaticano, possibile, ma poco probabile. Inoltre, occorre
dire che molto di quello che ci hanno lasciato gli Egizi è andato perso, quindi
non potremmo mai stabilire una stima di quante rappresentazioni simili o identiche
avremmo potuto vedere all'epoca.
Mariette scrisse che i
testi della quarta cripta descrivono la scena
in argomento, «ma non ne danno il senso». Perché non riuscì a comprendere, nonostante
la lettura dei geroglifici, ciò che vide?
Nell'opera che Mariette dedica a Dendera, Description generale
du grand temple de cette ville, possiamo leggere che la scena delle cosiddette
lampade è catalogata come Planche III 44. Continuando a leggere la nota, scopriamo che Mariette scrive “I testi
descrivono la scena, ma non danno il senso” e poi ci suggerisce di andare a
leggere il riferimento della Tavola II 49, che si trova a pagina 176. Tornando quindi ai
riferimenti della Chambre V, scopriamo che
anche in questo caso lo studioso esprime perplessità, poiché ancora una volta i
geroglifici descrivono solo la scena. Tuttavia, bisogna chiedersi se questo è dovuto
a rappresentazioni misteriose, o più semplicemente all'approccio scientifico di
un ricercatore che lavorava agli albori dell’egittologia. Tra noi e Mariette ci
sono oltre centocinquant'anni di ricerca scientifica e di studio metodico, di conseguenza,
le affermazioni dell’archeologo vanno riviste alla luce di nuove consapevolezze.
Fino a poco tempo fa si credeva erroneamente che le piramidi fossero state costruite da
schiavi, perché così ci ha tramandato Erodoto, mentre il Dr. Hawass ha scoperto
che non erano schiavi ma operai salariati. Ritengo quindi che fondare delle teorie
anacronistiche sull'opera di uno studioso, per quanto illustre, morto oltre un secolo
fa, sia improvvisazione e speculazione.
Abbiamo prima nominato Horus e Hathor, cosa puoi dirci di loro in merito a Dendera?
Horus e Hathor, così come le altre divinità del pantheon egizio, hanno una caratteristica particolare, cioè l’incarnazione di aspetti e sfaccettature diverse. Partiamo dal nome della dea dell’amore, Hathor, il suo significato è “dimora di Horus”, cioè il cielo dove nasce il sacro falcone. Tuttavia, a Edfu invece è anche madre di tutti gli dei, oltre che moglie di Horus. Stesso discorso vale anche per quest’ultimo, il quale non solo è marito della dea, ma incarna anche il loro figlio, Horus Sematawy; cioè il protagonista delle rappresentazioni della Cripta IV. Nondimeno, nella tradizione classica, Horus è figlio di Osiride e Iside, oltre che vendicatore di suo padre. Pertanto, il dio Horus di Edfu è sposato alla dea Hathor di Dendera e ogni anno, durante la festa della “buona unione”, la statua della dea arrivava in processione fino a Edfu, dove si celebrava il loro matrimonio divino.
Mariette ebbe diverse difficoltà nell'esplorare i “profondi misteriosi recessi” del tempio di Hathor, come mai?
Per prima cosa bisogna specificare che l'accesso a queste cripte era celato al popolo, poiché servivano per custodire oggetti preziosi, ed è quindi naturale che non sia facile entrarvi. In effetti, raggiungere queste cripte non è per nulla comodo, vi si accede passando per un antro stretto e angusto. Le cripte poi sono illuminate solo con la luce artificiale, quindi possiamo immaginare la difficoltà di Mariette nel capirne il significato, diciamo che per questioni logistiche e pratiche, se l'archeologo fosse vissuto oggi, non avrebbe scritto le stesse cose. Durante il mio ultimo viaggio in Egitto ho passato molto tempo a Dendera e con alcuni colleghi abbiamo in programma un viaggio in Egitto a settembre, progetto nato anche per completare la nostra decifrazione dei testi delle cripte, proprio perché, a differenza di quanto si crede, e chi è stato a Dendera lo può confermare, queste immagini girano in tondo per tutta la cripta. Di conseguenza, al mio ritorno dall'Egitto, fornirò la decifrazione completa dei geroglifici.
Poniamo ora però l’attenzione solo sulla famosa immagine con le “lampade”, presentando la spiegazione delle tre frasi che compongono la traduzione dei geroglifici posti a descrizione della scena. Iniziamo con il primo passo?
La traduzione iniziale è: "Horus Sematawy è il serpente di rame che sta nel loto nella barca notturna, altezza 4 palmi, barca notturna e loto in oro". Sono d'accordo nel porre l’attenzione su questa immagine in particolare, poiché è quella più discussa e dibattuta, tuttavia bisogna porre l’accento sul contesto, dato che è necessario per capirne il significato. Il testo a cui ci si riferisce indica parte del contenuto della cripta, poiché questo luogo serviva per conservare oggetti preziosi, tra cui anche immagini sacre, rappresentate sulle pareti per essere eternamente presenti, quindi le iscrizioni precisano le misure e i materiali di cui erano fatte. Ricordiamoci anche che la stessa Hathor appare sotto la forma di una statua dentro una barca, cioè la stessa statua che poi veniva trasportata a Edfu. Tornando all'iscrizione, sappiamo quindi che nella cripta doveva trovarsi un’immagine sacra in rame, che rappresentava il dio Horus Sematawy che nasce dal loto. Questa versione del dio Horus non significa altro che “Horus unificatore delle due terre".
Soffermiamoci sul fiore di loto (le famose “lampade”), cosa rappresentano in realtà?
Il fiore di loto è un simbolo antichissimo, fin dagli albori della civiltà egizia era usato per indicare l’Alto Egitto, associandolo alla dea Nekhbeth, mentre per il Basso Egitto abbiamo il papiro con corrispondenza alla dea Uadjet. Questo fiore è associato anche a concetti come rinascita e generazione, come ad esempio accade con il mito dell’oceano primordiale, il Nun. Non molto tempo fa ho letto un articolo di Diego Barucco, uno studioso appassionato di egittologia, che dava questa stessa definizione, cioè quella di un loto che sia donatore di vita e di luminosità; una luce quindi che non ha nulla a che fare con delle lampade, come accenna nei suoi studi Marco Chioffi. Naturalmente, queste argomentazioni di teologia egizia andrebbero approfondite maggiormente in modo individuale attraverso la lettura di libri del settore.
La presenza di oggetti sacri all'interno delle cripte di Dendera è testimoniata altrove?
Oltre che dalle descrizioni parietali, è visibile a Dendera anche il trasporto degli stessi immortalato in una scena processuale, vicino alla terrazza del tempio, dove, ad esempio, si vedono sacerdoti con degli scrigni. Nella prima sala ipostila, sul lato destro ci sono delle scale a rampa, mentre a sinistra si trovano delle scale rettilinee che conducono direttamente al tetto; le stesse che erano usate dai sacerdoti per trasportare gli oggetti sacri in occasione della Festa dell’Anno. Presumibilmente, queste raffigurazioni rappresentano gli oggetti conservati all'interno delle cripte e in altre sale del complesso di Dendera e che ogni anno venivano trasportati tramite una processione fino al tetto. Anche all'esterno del santuario vi sono scene di una processione di donne, raffigurate mentre portano le ricchezze delle province che incarnano al tempio.
Puoi darci notizie dei tesori celati nelle cripte, in particolare della statua di Horus?
Come è facilmente intuibile, i saccheggiatori non hanno lasciato nulla di prezioso, ciò che è stato rinvenuto a Dendera sono pezzi di valore storico, come statue in pietra o resti di altri templi, ma così come in molti altri santuari in Egitto, i tesori conservati sono andati perduti per sempre.
Cosa pensi tu dell'idea collettiva che quelle ritratte a Dendera siano delle vere lampade?
Lasciando perdere la facile ironia, voglio dire anche che l’elemento essenziale del filamento delle lampadine è il tungsteno, elemento chimico ipotizzato solo nel 1779. Senza contare che per creare il processo chimico che porta all'accensione di una lampadina del genere ipotizzato a Dendera, abbiamo bisogno di due gas: Azoto e Argon, entrambi scoperti a fine settecento. Inoltre, vi assicuro che se gli Egizi avessero avuto una tavola periodica, presumibilmente i Greci e di logica i Romani lo avrebbero saputo e di conseguenza anche noi. Devo dire poi che, per spiegare quest’abbaglio di massa, bisogna partire dall'idea che è tipico del cervello umano cercare legami con il proprio mondo, questo fenomeno viene chiamato "
pareidolia", altrimenti lo potremmo ricondurre ad una sorta di criterio di Shepard sul riconoscimento di cose conosciute indotto da oggetti non familiari. Quindi, disponendo dei mezzi dati dallo studio costante di tale civiltà, occorre aggiungere che se questi “misteri” non fossero osservati con l'occhio moderno, ma guardati da chi ha una visione diversa, cioè colui che è cresciuto nell’epoca egizia, sembrerebbero solo ciò che sono. Per concludere, ripeto ciò che ho precedentemente dichiarato, bisogna guardare a egittologi moderni, che hanno a disposizione ottimi mezzi per poter interpretare il mondo egizio