Circa 300 metri a nord del tempio di Sethi I sorgono le vestigia di un santuario eretto da Ramses II, un cenotafio, come l'Osireion, che tuttavia, per planimetria, riecheggiava un tempio tebano del Nuovo Regno e non una tomba reale. Il tetto e la parte superiore delle pareti sono mancanti, ma le scene incise sulle rimanenti superfici sono di particolare interesse poiché conservano la policromia. L'esterno del tempio mostra, su parte della parete sud, un elaborato calendario delle feste e rappresentazioni della battaglia di Qadesh sulle altre pareti. All'interno, un cortile a cielo aperto presenta pilastri osiriaci perimetrali e scene d'offerta sulle pareti. In fondo al cortile, dietro un piccolo portico, quattro cappelle erano dedicate, da destra a sinistra, a Ramses II, all'Enneade, agli antenati regali e a Sethi I. Dietro queste, a destra, un'altra cappella era votata a Osiride. Intorno alla seconda di due sale a otto pilastri, altre cappelle, molte delle quali decorate con fini rilievi, erano dedicate a Osiride, alla Triade Tebana, a Thot e Min. Una stele, collocata di recente al centro della parete di fondo del tempio, cela l'ingresso di una camera che custodisce un grande gruppo statuario composto dalle statue di Ramses, Sethi, Amon e da quelle di due dee.
venerdì 28 ottobre 2016
sabato 22 ottobre 2016
Le trentanove tombe di Beni Hassan
Situata sulla riva
destra del Nilo, la necropoli di Beni Hassan conserva uno dei monumenti più
preziosi dell'antico Egitto: trentanove tombe scavate in una falesia calcarea,
a una ventina di metri sul livello del fiume. Alcune di esse appartenevano ai
governatori della provincia dell'Orice, XVI "nomo" dell'Alto Egitto.
Come tutte le città
egizie dell'epoca dei faraoni, Beni Hassan fu costruita lungo il Nilo, sulla
riva orientale: si trova a circa 270 chilometri a su del Cairo, e fu la
capitale della provincia dell'Orice durante tutto il Medio Regno. Il sito
archeologico che domina la vallata ospita un complesso funerario scavato nella
falesia. In questi luoghi sostò nel 1822 l'egittologo francese Jean-François
Champollion: vi ritrovò numerosi affreschi, purtroppo in pessimo stato di
conservazione.
La
necropoli dei governatori
Come sappiamo, gli
antichi egizi attribuivano quasi più importanza alla vita dopo la morta che non
all'esistenza terrena. Per le concezioni religiose dell'epoca, vivere
significava prima di tutto prepararsi ad accedere nell'aldilà. Anche per questo,
gli uomini cercavano di lasciare di sé il miglior ricordo possibile,
predisponendo sepolture adeguate al proprio rango. La tomba era per loro la
"casa per l'eternità", e dunque doveva essere allestita in modo che
il defunto si sentisse come nella propria abitazione. Chiaramente, i membri
delle classi più abbienti erano più avvantaggiati in questo senso. Le sepolture
di Beni Hassan, per esempio, sono veri e propri "palazzi" fatti
costruire dai governatori locali, i "nomarchi": si tratta di almeno
trentanove tombe, disposte lungo il fianco scosceso della falesia, a strapiombo
sul villaggio. Uno dei nomarchi qui sepolti è Khnumhotep: morì intorno al 1990
a.C., dopo aver amministrato la provincia dell'Orice per molti anni;
nell'esercizio del potere locale si era dimostrato un fedele servitore dei
faraoni Amenemhat II e Sesostri II, sovrani della XII dinastia. Nella tomba che
si era fatto preparare lo attendevano meravigliosi tesori, tra quei gioielli e
altri preziosi che furono poi in gran parte trafugati; mi si trovavano anche
mobili, stoffe, armi, cibo e bevande, cioè tutto quanto era necessario per
affrontare la nuova vita nelle migliori condizioni possibili. Ricordiamo,
infatti, che per gli antichi egizi la morte non poneva fine alla esistenza
terrena. Si pensava invece che ogni essere vivente umano animale possedesse due
anime: il ka, la forza vitale che caratterizza l'individuo e che dopo la morte
torna nel mondo degli dei, e il ba, che in certe circostanze può rimanere
legato alla terra. Proprio per questa ragione, le tombe erano sempre tenute in
perfette condizioni e il defunto veniva commemorato una volta al giorno: si
temeva, infatti, che il morto potesse lamentarsi con gli dei per essere stato
trascurato, abbandonando e maledicendo la sua dimora.
Le
tombe di Beni Hassan e il rispetto della tradizione
In base alle
tradizionali credenze egizie, la tomba non serviva solo a soddisfare le
esigenze della persona che vi veniva sepolta. Questa, infatti, divideva
l'ambiente funebre con i vivi, che vi si recavano regolarmente per rendere
omaggio al defunto. La zona riservata al culto, quindi, poteva essere
costituita da ampie sale sotterranee, sorrette da colonne e ricoperte da
affreschi dei colori vivaci; altari per l'offerte erano collocati davanti alla
piccola nicchia che racchiudeva l'effige del defunto, e vi era sempre
dell'incenso che bruciava. In altre tombe la struttura era più tradizionale e
seguiva i canoni dell'architettura funeraria delle "mastaba"
dell'Antico Regno. Queste si componevano di una cappella a volta in cui
sacerdote officiava i riti funebri. Nella parte posteriore, ben nascosta e inaccessibile,
si trovava una piccola stanza, il serdab, con una statua che rappresentava il
ba del defunto. Una falsa porta munita di uno spioncino permetteva al morto di
rimanere in contatto con il mondo dei vivi e di servirsi delle offerte. La
parte più segreta della tomba, anch'essa ovviamente inaccessibile, custodiva la
salma, trasformata nell'immagine di Osiride: vi si accedeva tramite un pozzo
funerario abilmente dissimulato, che portava alla sala sotterranea contenente
il sarcofago. A differenza di quanto previsto dal modello classico di sepoltura
che fiorirà qualche secolo più tardi, la necropoli di Beni Hassan fu eretta in
modo che l'ingresso fosse rivolto a ovest. Secondo le antiche credenze,
infatti, la nuova vita del morto cominciava quando egli girava il volto verso
il tramonto: con il termine "Amenti", infatti, si indicava sia
l'occidente che la dimora dei defunto. Tuttavia, la gran parte dei sepolcri è
orientata verso est, nella direzione del sole che sorge e, dunque,
dell'immortalità. D'altra parte, più importante della direzione simbolica era
quella astronomica che legava il defunto alle stelle: a questo proposito, già
la mitologia egizia parlava di ascesa del corpo verso il cielo; a quest'idea
era collegata la forma delle piramidi, come pure quella del pozzo verticale
delle mastaba e delle cappelle funebri del Nuovo Regno: anche la forma
architettonica dell'ultima dimora, insomma, doveva agevolare il cammino verso
il cielo.
Decorazioni
classiche
Gli affreschi delle
tombe di Beni Hassan sono di stile classico e raffigurano scene di vita
quotidiana all'epoca di Khnumhotep: si riconosco, tra l'altro, contadini impegnati
nel lavoro dei campi, battute di pesca e di caccia nelle paludi, artigiani nei
loro laboratori, un uomo che sorregge una sorta di boomerang, un altro che suona
la lira, giovani atleti impegnati negli esercizi fisici e fanciulle che
danzano. Nell'insieme, tutte queste scene restituiscono con molto realismo la
vita della popolazione egizia nel periodo del Medio Regno. Champollion
individuò anche delle immagini che ritraevano popolazioni nomadi dell'Asia.
Rispetto ai temi tradizionali del periodo precedente, sembra esservi stata una
certa evoluzione. Le scene sono distribuite lungo tutte le pareti: oltre a
quelle che riprendono i diversi aspetti della civiltà del tempo, ve ne sono
altre che raffigurano i riti funebri e le offerte riservate al defunto per
garantirgli la sussistenza nell'aldilà; altri affreschi a tema mitologico,
invece, sono accompagnati da formule che servivano a proteggere il morto
durante il lungo viaggio nell'oltretomba. Sembrano scomparse le scene di
guerra, indice forse di un periodo di calma o anche del carattere poco bellico
del defunto. I primi re del Medio Regno, infatti, si erano prefissi di
ricondurre l'Egitto verso l'ordine primordiale della creazione, dopo la
travagliata fase del Primo Periodo Intermedio. Alcuni geroglifici incisi e
dipinti sulle pareti fanno riferimento ai primi faraoni della XII dinastia:
questi arrivarono nella regione per delimitare con precisione i confini tra la
quindicesima e la sedicesima provincia "con la precisione del cielo",
cioè seguendo la direttiva degli dei, per riprendere il controllo del paese.
A
Beni Hassan non riposano solo notabili
Le tombe dei
governatori locali sono certamente le più sontuose tra quelle ritrovate a Beni
Hassan, ma non sono le uniche ad essere state studiate dagli archeologi. La
maggior parte delle sepolture locali, infatti, apparteneva a membri del ceto
medio e anche a persone di modesta condizione. Tra la necropoli "popolare"
e le tombe dei notabili vi sono evidenti differenze, sia nelle dimensioni sia
per il valore degli oggetti contenuti. Non a caso, le seconde sono rimaste
indenni ai saccheggi: interessanti per gli studiosi delle antiche civiltà, lo
erano certamente di meno per i ladri!
venerdì 14 ottobre 2016
Anello a castone con i nomi di Ramses II e Nefertari
Il tipo di anello qui presentato, assai pesante, a castone piatto inciso con una decorazione, generalmente d'oro, fa la sua comparsa all'inizio del Nuovo Regno e riscuote un notevole successo fino all'epoca di Ramses II. Il monile è in corniola traslucida di colore aranciato pallido. L'anello vero e proprio è piuttosto spesso e solcato da una leggera incisione nella quale è stato appiattito un fiore d'oro; questo trattiene un sottile rettangolo d'oro che, applicato attorno al castone, dà maggiore risalto a quest'ultimo.
Durante il Nuovo Regno, diffondendosi sempre più l'impiego di paste di vetro colorate, la corniola resta la sola pietra semi-preziosa ad essere ancora utilizzata. Le pietre rosse, corniola o diaspro rosso, evocanti il fuoco e il sangue, erano molto apprezzate, anche perché si credeva fossero dotate di un immenso potere magico in grado di assicurare protezione.
Il castone, rettangolare, reca un'incisione eseguita con tratto rapido e poco accurato. Raffigura due cartigli accostati e sormontati da grandi piume di struzzo ornate dal disco solare. Il nome ufficiale del re Ramses II, User-Maat-Ra è inciso nel cartiglio di sinistra, affiancato a quello di Nefertari, iscritto in quello di destra.
Questo modello di castone decorato con due cartigli giustapposti è assai diffuso fin dalla XVIII dinastia. Generalmente recanti l'incisione di nomi regali, i cartigli potevano anche ospitare la figura del re al cospetto di divinità, o anche soltanto l'immagine di due divinità accostate. All'epoca di Ramses II il motivo dei cartigli sormontati da alte piume diviene molto frequente. Tra le numerosissime spose di Ramses II, Nefertari occupa una posizione unica. In onore della donna amata, Ramses fece costruire un tempio ad Abu Simbel accanto al proprio e fece scavare, nella Valle delle Regine, la tomba più grande e più riccamente decorata. Poche sono le regine che ebbero il loro nome tanto spesso accostato sui monumenti a quello del re, se si eccettua Ty, sposa del faraone Amenhotep III e naturalmente Nefertiti, perennemente affiancata alla persona di Akhenaton.
Dati
Provenienza: sconosciuta
Collezione: Emile Guimet poi Louvre
XIX dinastia - Ramses II
Corniola rossa e oro
2,35x1,3 x x 2,13 cm
Musée du Louvre, Inv.n. E 31890
sabato 1 ottobre 2016
Il tempio di Iside a Pompei
È l’unico iseo meglio
conservato fuori dall'Egitto ed è a Pompei. Parliamo del tempio dedicato alla
dea Iside situato nella regio VIII, insula 7. Da che venne riportato alla luce,
tra il 1764 ed il 1766, ha catturato l’attenzione sia per le architetture
rinvenute in un ottimale stato conservativo che soprattutto per la ricca
decorazione parietale, affreschi che furono da subito staccati e dislocati al
Museo di Portici, oggi custoditi all’interno del Museo Archeologico nazionale
di Napoli insieme a sculture ed altri oggetti di culto rinvenuti in loco. Fu
soggetto di numerosi disegni, stampe e incisioni da parte di eruditi e
viaggiatori secondo le moda del ‘grand tour d’Italie‘.
Edificato in epoca tardo-sannitica, tra il terzo-quarto del
II secolo a.C. e l’80 a.C., verrà poi restaurato a seguito di uno dei tanti
terremoti che scossero la città tra il 62 ed il 79 d.C., forse quello del 5
febbraio del 62 d.C.. Il benefattore, il liberto Numerius Popidius Ampliatus,
come si legge nell'iscrizione un tempo in bella vista all'ingresso del recinto
del tempio ed ora conservata anch'essa al Museo Archeologico nazionale di
Napoli, ne attribuirà il merito a suo figlio Celsinus, di appena sei anni, per
avviarlo così alla carriera politica. Il tempio è ubicato nel settore sud-occidentale
della città, nel cosiddetto “Quartiere dei teatri” mentre l’ingresso è posto
lungo la via del Tempio di Iside, strada parallela a sud del più famoso
decumano inferiore, la via dell’abbondanza, quasi all'incrocio con la via
Stabiana.
Le strutture sacre che oggi è possibile visitare sono il
frutto del restauro “popidiano” e quindi pertinenti all'ultima fase di vita
prima che l’eruzione vesuviana ne seppellisse le vestigia. L’area del tempio si
presenta cinta da un portico quadrangolare contornato da colonne che sappiamo
un tempo, stuccate in rosso e in bianco con capitelli tuscanici in rosso
decorati con motivi vegetali, sormontato da una copertura in tegole con
antefisse raffiguranti maschere di gorgone. Lungo le pareti interne si aprivano
diversi varchi di passaggio che davano su vari ambienti tutti pertinenti al
culto della dea, esse inoltre erano abbellite da nicchie ospitanti statue di
divinità e decorate con pitture di IV stile con la fascia mediana ospitante
scorci architettonici e paesaggistici, battaglie navali e nature morte. Il
tempio vero e proprio, la aedes, nucleo principale del culto, si colloca al
centro del porticato. Di tipo italico, ad esso si accedeva mediante una
gradinata che conduceva nel pronaos (una sorta di anticamera) adorno di quattro
colonne sulla facciata, da cui si procedeva nel naos (cella) dov'era custodito
il simulacro (statua) della dea, verosimilmente realizzato in parte in marmo
(testa, mani e piedi) mentre il corpo era in legno addobbato con stoffe e
accessori preziosi. L’ingresso della cella, sui lati, era fiancheggiato da due
nicchie in cui erano alloggiate le statue di Horus/Arpocrate e Anubis, divinità
in stretto legame con Iside. Sulla parete di fondo del naos era presente un
alto podio con due piedistalli laterali che ospitavano le statue di Iside e di
Serapide o di Osiride mentre un’altra statua di culto, quella di Dioniso con la
pantera, rimando associativo tra culti isiaci e dionisiaci, si trovava nella
nicchia aperta sulla parete esterna della cella, dove nell'angolo sud-ovest una
scala permetteva la comunicazione con l’interno. Le pareti erano inoltre
decorate riccamente da stucco bianco e pitture di I stile, mentre i pavimenti,
purtroppo perduti, erano, come dimostrato da disegni dell’epoca, in cocciopesto
e mosaico.
Dinanzi alla gradinata di accesso, sul lato sud-est, si
trova l’altare maggiore, sul quale si compivano i sacrifici in onore delle
divinità: durante gli scavi furono rinvenuti resti dei sacrifici ancora
poggiati su di esso. Ai piedi è stata rinvenuta una fossa sacra che conteneva
inoltre gli avanzi carbonizzati dei sacrifici, mentre altri due altari più
piccoli si trovano ai lati del pronao. Davanti al tempio, sul lato meridionale
si trova un’altra architettura sacra, dalle sembianze di un tempietto. La
struttura, di piccole dimensioni, è abbellita all'esterno da pannelli decorati
da candidi stucchi con motivi vegetali e soggetti legati al culto della dea e
all'ambito egizio. All'interno si trova inoltre una piccola cavità ipogea
accessibile mediante una scala. Probabilmente questo piccolo ambiente custodita
l’acqua sacra forse portata direttamente dal fiume Nilo e utilizzata durante
sconosciute pratiche rituali, da cui il termine purgatorium, oppure come
indicato dal nome, come stanza in cui gli iniziati al culto passavano la notte
prima della cerimonia dal termine greco megaron, altro nome con cui è noto
l’edificio. Non deve stupire la presenza a Pompei dell’acqua del Nilo che
verosimilmente veniva portata direttamente dall'Egitto a Pozzuoli, importante
approdo, porto di Roma, prima dell’inaugurazione dello scalo traianeo di Ostia.
Durante la ristrutturazione post-terremoto furono associati
al recinto sacro nuovi ambienti che comportarono un ampliamento dell’area
sacra. Dalla parete di fondo occidentale del portico per mezzo di cinque varchi
si accedeva ad un grande ambiente, noto come ekklesiasterion, di cui se ne
ignora la funzione, mentre un’altra apertura nell'angolo sud-ovest dava accesso
al sacrarium, una sorta di odierna sacrestia, dove venivano custoditi oggetti e
paramenti sacri. Mentre dalla parete meridionale del portico si accedeva ad un
triclinium ed un cubiculum.
Ed è proprio dall’ekklesiasterion che provengono i dipinti
più famosi dell'iseo pompeiano: Io, Argo ed Hermes e Io a Canopo che vedono
protagonista la ninfa Io prigioniera ad Argo che viene liberata dal dio Hermes
e che giunge poi in Egitto, nella città di Canopo sul delta del Nilo.
Alcuni studi hanno cercato di ricostruire gli ultimi
drammatici momenti vissuti all'interno del tempio: l’eruzione, avvenuta verso l'ora
di pranzo sorprese sacerdoti e aiutanti verosimilmente in cucina. Alcuni, dopo
aver raccolto in un sacco gli oggetti di maggior valore, scapparono via ma
durante la fuga il sacco scivolò dalle mani di colui che lo portava spargendo a
terra il contenuto. Riuscirono però a proseguire la loro corsa fino al vicino
foro triangolare dove morirono a causa del crollo del porticato. Altri
sacerdoti invece non riuscirono o non vollero abbandonare il tempio e pagarono
ugualmente con la vita la fedeltà alla dea, travolti dalle esalazioni tossiche
che il Vesuvio alitò impietoso sulla città.
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