domenica 8 dicembre 2019

In che direzione si leggono i geroglifici?

La scrittura egizia fu molto ricca, sia nei sistemi sia nella direzione seguita dei testi. La combinazione delle direzioni conferiva alla scrittura valore estetico, oltre ad alcune connotazioni religiose. 


Gli scribi egizi conobbero e usarono diversi tipi di scrittura. In primo luogo vi furono quella geroglifica e il suo corsivo, lo ieratico; nella Bassa Epoca fu creato Il demotico, un corsivo dello ieratico. Infine si ricorse all'alfabeto greco per scrivere in copto. Alla complessità di queste forme di scrittura si univa il problema della direzione delle parole. Per sapere in quale verso è scritto un testo, bisogna osservare i segni di animali o persone: la direzione in cui guardano indica l'inizio. 
La direzione dipendeva da diversi fattori. In principio si utilizzava, sia in geroglifico sia in ieratico, il sistema a colonne, in cui si scriveva da destra a sinistra, anche se era possibile alternare qualche colonna da sinistra a destra, e qualche fila, specialmente nei contesti funerari. A partire dal Medio Regno, si diffuse la scrittura in file e, con l'introduzione del demotico, da destra a sinistra, anche se il Libro dei Morti si continuava a scrivere ancora in colonne. 
La direzione dipendeva anche da questione estetiche. A seconda dello spazio, si poteva scrivere in un senso o nell'altro. Generalmente influivano molto le idee religiose, come il rispetto per alcune immagini di divinità o di faraoni, e la necessità del defunto di leggere i testi nell'aldilà. 

La direzione della scrittura delle altre lingue 
Alla fine della storia dell'antico Egitto, si scriveva in copto o in latino, e da sinistra a destra. Dopo l'invasione degli arabi, gli egizi adottarono la lingua e la scrittura, con tratti e legature simili a quelle dello ieratico, e sì passò a scrivere da destra a sinistra come negli antichi testi faraonici. Le direzioni usate dagli egizi si possono trovare oggi nei diversi tipi di scrittura moderna, anche se è raro incontrarne uno che utilizzi vari versi. Nella maggior parte dei casi si scrive da sinistra a destra, in file, con alcune notevoli eccezioni, come gli ideogrammi cinesi e giapponesi, in colonna. Un altro caso è quello della lingua araba, che si scrive in file e da destra a sinistra come l'ebraico. 

domenica 10 novembre 2019

Traduzioni dalla tomba di Nefertari: corridoio discendente ovest

La volta scorsa vi ho fornito le traduzione della parete est, in questo articolo invece affronteremo la parte ovest; potrete notare come in sostanza i testi non cambino.


Qui Nefertari è davanti a Iside, a Nefti e ancora a Maat. “Figlia di Ra, Signora del cielo, Sovrana delle Due terre”. Il testo riferito a Iside, “la grande, madre del dio, Signora del cielo, Sovrana di tutti gli dei”, dice: “Io ti do l’eternità come Ra”.
Dietro la grande Iside, sua sorella, la dea Nefti e Maat, il cui testo è uguale a quello di Maat, si possono difatti leggere per entrambe i titoli: “Nefti/Maat, Signora del cielo, Sovrana delle Due terre”. L’unica differenza si trova per un epiteto aggiuntivo di Maat: “Figlia di Ra”.



lunedì 14 ottobre 2019

La mummia di Amenhotep III

Figlio di Thutmosi IV e della regina Mutemuia, Amenhotep sposò Ty, figlia di Yuya e Thuya, la cui tomba venne ritrovata nella Valle dei Re. Amenhotep fu un grande costruttore e inoltre ampliò notevolmente i templi di Karnak e Luxor. Tra i suoi monumenti ricordiamo particolarmente il tempio funerario situato sulla riva ovest e di cui oggi restano solo i colossi di Memnon. La sua tomba è numerata come la WV22, ubicata nella Valle ad Ovest.

La mummia: Ritrovata nella tomba di Amenhotep II nel 1898 da Victor Loret. Conservata al Museo del Cairo, numero di reperto: 6349A.

I sacerdoti della XXI dinastia scrissero il nome di Amenhotep III non solo sul sarcofago in cui alloggiarono la mummia ma anche sulle bende, che vennero rimosse da Elliott Smith il 23 settembre del 1905. Egli rivelò numerosi danni: la testa è staccata, manca la parte anteriore del corpo, tutti gli arti sono danneggiati e praticamente nessuno dei tessuti molli è rimasto attaccato al corpo. Rendendo quindi la mummia di Amenhotep III quella conservata peggio tra le mummie reali.
Smith ebbe notevoli difficoltà a fissare pertanto l’età del re al momento del decesso, stimabile probabilmente fra i quaranta o i cinquant'anni. Esami più recenti hanno stabilito che l’età della morte era più vicina ai cinquanta che ai quaranta. Inoltre, si è potuto stabilire anche che il re soffrisse di obesità. 
Gli imbalsamatori utilizzarono una nuova tecnica durante la preparazione del corpo: impacchettarono una pasta resinosa e pezzi di lino sotto la pelle, che furono poi modellati in un estremo tentativo di ripristinare un aspetto realistico.
In particolare i denti sono stati riscontrati in pessimo stato, probabilmente il re soffrì di enormi pene negli ultimi anni della sua vita a causa di un ascesso molto grave. Il faraone era alto circa 1,56 cm.

giovedì 5 settembre 2019

La lettera di Pepi II a Herkhuf: un nano fortunato


Herkhuf, vissuto durante la VI dinastia, venne sepolto ad Assuan. Nella sua tomba sono presenti numerose immagini della sua vita e delle spedizioni condotte in Nubia. Tra le tante scene, spicca su tutte, l'incisione di una lettera di Pepi II indirizzata proprio ad Herkhuf, in cui il giovane re raccomanda ogni sorta di premura per un pigmeo (nano), catturato durante una spedizione e che viaggiava con l'esploratore verso la terra del Nilo. Andiamo quindi a leggerne la traduzione:

Rigo 1/a
  • Anno di Regno 2, mese 3 dell'Inondazione, giorno 15. Decreto reale per il Compagno Unico, sacerdote lettore, sovrintendente degli interpreti Herkhuf. Si è conosciuta...

Rigo 1/b
  • ...la parola di questa tua lettera che tu hai fatto presso il re per il Palazzo, per far si che si conoscesse che tu sei sceso...

Rigo 1/c
  • ...in pace da Iam insieme con l'esercito che era con te. Tu hai detto in questa tua lettera che...

Rigo 2/a
  • ...hai portato ogni dono grande bello che diede Hathor, signora di Imaau, per il Ka di...

Rigo 2/b
  • ...Re dell'Alto e del Basso Egitto Neferkara possa egli vivere eternamente fino alla eternità. Tu hai detto in questa tua lettera che hai portato un nano...

Rigo 2/c
  • ...delle danze del dio della terra degli Spiriti, copia del nano che portò il portasigilli del dio...

Rigo 3/a 
  • ...Baurdjed da Punt al tempo di Isesi. Tu hai detto alla mia maestà che mai accadde che venisse portato...

Rigo 3/b
  • ...una sua copia da parte di ogni altro che fece Iam precedentemente. Orbene, come sai tu fare ciò che ama e ciò che loda...

Rigo 3/c
  • ...il tuo signore; invero, tu trascorri la notte preoccupandoti di fare ciò che ama, ciò che loda e ciò che comanda...

Rigo 4/a
  • ...il tuo signore. Sua maestà farà le tue onoranze numerose eccellenti per essere utile al figlio...

Rigo 4/b
  • ...di tuo figlio per l'eternità, perché dica la gente tutta (quando) udranno ciò che ha fatto per te la mia maestà: "C'è qualcosa come quello fatto per...

Rigo 4/c
  • ...il Compagno Unico Herkhuf quando scese da Iam a causa della vigilanza che egli aveva fatto per fare ciò che ama...

Rigo 5/a
  • ...ciò che loda e ciò che comanda il suo Signore?". Vieni tu andando a nord verso la residenza immediatamente e porta tu...

Rigo 5/b
  • ...questo nano con te che tu porti dalla terra degli spiriti essendo vivo essendo prospero essendo sano, per le danze...

Rigo 5/c
  • ...del dio, per rallegrare, per far lieto il cuore di re dell'Alto e Basso Egitto Neferkara possa egli vivere eternamente. Se egli scende...

Rigo 6/a
  • ...con te sulla barca, fa' persone eccellenti che sono attorno a lui sui due fianchi della barca, stà attento che egli non cada...

Rigo 6/b
  • ...in acqua. Se egli dorme di notte, fa' inoltre persone eccellenti che dormono attorno a lui...

Rigo 6/c
  • ...nella sua tenda, controlla volta 10 per notte. Ama la mia maestà vedere questo nano più di doni...

Rigo 7/a
  • ...del Sinai e di Punt. Se tu arrivi alla residenza ed ecco questo con te essendo vivo...

Rigo 7/b
  • ...essendo prospero essendo sano, la mia maestà farà per te una cosa grande più di ciò che fu fatto per il portasigilli del dio Baurdjed al tempo di...

Rigo 7/c
  • ...Isesi, secondo il desiderio della mia maestà di vedere questo nano.

Parafrasi:

Anno secondo, terzo mese dell'Inondazione, giorno 15. 
Decreto reale per il Compagno Unico (Titolo di Corte), sacerdote ritualista e sovrintendente degli interpreti Herkhuf. "Si è conosciuto il contenuto di questa tua lettera che hai scritto al re, a Palazzo, per far sapere che sei ritornato felicemente da Iam (terra non ben identificata, a sud dell’Egitto) insieme con l'esercito che era con te. Tu hai detto, in questa tua lettera, che hai portato ogni grande e bel dono che Hathor, signora di Imaau, ha dato per il Ka del Re dell'Alto e Basso Egitto Neferkare possa egli vivere per tutta l'eternità. In questa tua lettera, tu hai detto che hai portato un nano delle danze del dio dalla terra degli Spiriti, simile al nano che portò il portasigilli del dio Baurdjed da Punt al tempo di Isesi (Djedkare V dinastia, 2420 - 2380). Tu hai detto alla mia Maestà che mai un suo simile fu portato da qualunque altro che abbia visitato Iam in tempi precedenti. Orbene, tu sai, in verità, compiere ciò che il tuo Signore ama e loda. Invero, tu passi giorno e notte preoccupandoti di fare ciò che il tuo Signore ama, loda e comanda. Sua Maestà ti farà numerose ed eccellenti onoranze, cosicché (ciò) sia utile (anche) al figlio di tuo figlio, per sempre, e tutta la gente dica, quando avranno udito ciò che la mia Maestà ti avrà fatto:

C’è forse qualcosa di simile a quello che è stato fatto per il Compagno Unico Herkhuf quando tornò da Iam, a causa della vigilanza che aveva mostrato per fare ciò che il suo Signore ama, loda e comanda? Vieni subito verso nord, alla Residenza (a corte) e porta con te questo nano che riporti dalla terra degli Spiriti, vivo, in buone condizioni e sano, per le danze del dio, per rallegrare e far lieto il cuore del re dell’Alto e Basso Egitto Neferkare possa vivere eternamente. Se ritorna con te sulla barca, nomina delle persone eccellenti che siano accanto a lui sui due lati della barca e sta attento a che non cada in acqua. Se di notte dorme, nomina altre persone eccellenti che dormano accanto a lui nella sua tenda; controlla dieci volte per notte. La mia Maestà desidera vedere questo nano più dei doni del Sinai e di Punt. Se raggiungi la Residenza e questo nano è con te, vivo, in buone condizioni e sano, la mia Maestà farà per te qualcosa di grande, più di quello fatto al portasigilli del dio Baurdjed al tempo di Isesi, in conformità al desiderio della mia Maestà di vedere questo nano”.



Basato su una traduzione di Alberto Elli

giovedì 15 agosto 2019

La condizione della donna egizia messa a confronto con noi ''donne moderne''.


Egitto2000 a.c. le donne ricoprono ruoli professionalmente rilevanti,
Italia2000 d.c. l'8,5% delle donne occupa ruoli dirigenziali.

Egitto 2000 a.c. le donne raggiungono le più alte cariche dello stato,
2000 d.c.
Europa:
le donne nei parlmenti europei sono il 21, 4%,
Italia:è al terzultimo posto 11, 4% delle donne in parlamento.

Egitto 2000 a.c possono diventare faraone.
2000 d.c.4 capi di stato nel mondo sono donne

Egitto 2000 a.c occupano alti gradi delle gerarchie sacerdotali
2000 d.c. il Vaticano ribadisce il NO alle donne Diacono

Egitto 2000 a.c. le donne egizie facevano uso di contraccettivi scientifici.
Italia 2000 d.c. il 9% delle donne non fa uso di contraccezione, mentre il 36% usa metodi non scientifici.

Egitto 2000 a.c. era favorita l'acquisizione di una casa per le giovani coppie.
Italia 2000 d.c. fino al 1985 il 40% delle coppie vive con i genitori, negli ultimi anni la percentuale si è abbassata al 11%.

Egitto 2000 a.c. la donna conservava il proprio nome dopo il matrimonio, a tutela della sua identità.
Italia fino al 1975 l'uomo poteva richiedere la separazione per colpa se la donna usava il cognome da nubile.

Egitto 2000 a.c. in caso di divorzio era garantito il mantenimento pari a più di un terzo dello stipendio del ex marito, se era la donna a chiedere il divorzio manteneva i suoi beni e la casa, aveva la possibilità dell'affidamento dei figli.
Italia 2000 d.c. il 63,2% delle richieste di divorzio è avanzato dagli uomini; dal 1975 nuovo diritto di famiglia(tra i più avanzati nel mondo):adegua le donne italiane alle egizie di 4000 e 5000 anni fa.


mercoledì 10 luglio 2019

Il Museo Egizio di Torino

Questo straordinario museo ospita una delle collezioni più rappresentative del mondo, da semplice raccolta divenne museo universitario e si arricchì con acquisizioni e scavi successivi fino a guadagnare un grande prestigio come museo archeologico. Nel 1824, il re sabaudo Carlo Felice acquistò per 400.000 lire una collezione di antichità egizie offertagli da Bernardino Drovetti, console di Francia in Egitto. I pezzi furono depositati nell'Accademia delle Scienze di Torino. Molti anni prima, nel 1759, un botanico di Padova, di nome Donati, si era recato in Egitto e aveva scavato tra le rovine di Karnak, trovando una statua si Sekhmet, che aveva spedito a Torino insieme a una di Iside, una di Ramses II e molti altri oggetti di minori dimensioni. Questo materiale, insieme alla collezione di Drovetti, costituì il nucleo fondamentale del museo.
L'Accademia delle Scienze ordinò la classificazione di tutto il materiale, che venne affidato all'Università di Torino. Fu creata una commissione di specialisti, di cui faceva parte J.F. Champollion, che ebbe l'opportunità di studiare numerose opere originali. Egli affermò in varie occasioni: " Secondo me, la rotta da Menfi e Tebe passa per Torino".
Poiché quasi tutto il materiale di cui disponeva il museo apparteneva al Nuovo Regno, l'amministratore del Museo del Cairo, offrì copie in gesso di steli dell'Antico e Medio Regno, oltre a una copia di una statua di Chefren, che andarono ad arricchire la raccolta del Museo. 
Alla fine del XIX° secolo, l'archeologo piemontese E.Schiaparelli, assunse l'incarico di direttore del Museo Egizio di Torino. Tra i ritrovamenti di Schiaparelli, spicca la tomba di Nefertari nella Valle delle Regine, restaurata poi nel 1986 sempre da un team italiano capeggiato da Paolo e Laura Mora. Inoltre, bisogna ricordare che a Deir el-Medina, fu scoperta una tomba intatta, di un uomo di nome Kha, il cui corredo funebre arricchisce parte del museo. Nel 1930, Giulio Farina ritrovò a Gebelein un lenzuolo funebre dipinto con scene funebri e di navigazione, risalente all'anno 3000. Attualmente, il Museo Egizio di Torino è sicuramente, dopo quella del Cairo, la migliore collezione egizia al mondo. 

venerdì 14 giugno 2019

I Segni Unilitteri


Qui a fianco (a sinistra) riporto i ventisei segni unilitteri che gli egizi utilizzavano con maggiore frequenza per trascrivere i suoni della loro lingua o di quelle straniere. Sotto ogni segno ho riportato il nome convenzionale dell'immagine e, in rosso, la sua pronuncia, sebbene questa non corrisponda esattamente a quella italiana. Per esempio, la W del pulcino va letta ''all'inglese'' come una U. La C di avambraccio è un suono a metà fra la H aspirata e la A. La H di cortile va pronunciata aspirata. La H di filo ritorto è una H faringale. La H della cesta assomiglia al tedesco "ich". La S di chiavistello è dolce come in "isotopo". La S di stoffa è aspra come il "sole". La S di lago si pronuncia come la Sc di "sci". La Q di colle è una C dura, come in "carne". La K di cesta è una C aspirata "alla toscana". La T di pastoie si pronuncia con un suono a metà fra la T e la C. La D di cobra sta fra la D e la G "gente".
Adesso proviamo, per gioco, a costruire un nome. Per esempio, MARIA. Ricordiamoci che i segni vanno letti da sinistra o da destra a seconda della direzione verso cui sono rivolti quelli rappresentati da uomini o animali. Quindi, se decidiamo di ''scrivere'' da destra verso sinistra avremo cura di far rivolgere gli uccelli che simboleggiano la M e la A verso sinistra.


M-A-R-I-A

mercoledì 1 maggio 2019

Le divinità leonine nell'antico Egitto


Leoni e leonesse popolarono il pantheon egizio fin dai tempi più antichi, a volte si trattava di celebri divinità, come Sekhmet o Tefnut, in altri casi erano dei o dee meno noti, talvolta di origine straniera. Tracce di queste divinità minori rimangono comunque nei reperti archeologici.



Fin dalla più remota antichità, i faraoni e i loro sudditi adorarono il leone (Panthera Leo), anche a seguito di influenze provenienti dai popoli confinanti, soprattutto quelli a ovest e a sud. Non sorprende, quindi, che molte divinità leonine popolassero il pantheon egizio: insieme a quelle legate ai tori e alle vacche, erano tra le più numerose. Oggi, i leoni sono scomparsi dall'Egitto, ma le decorazioni dei templi e le bacheche dei musei sono piene di magnifiche rappresentazioni di questi animali divinizzati.

Mekhit, sole e luna
Una figura leonina non molto nota è quella della dea Mekhit (o Mehit). Gli egizi la consideravano come la "paredra" (il corrispettivo femminile) di Onuris, e la raffiguravano con il disco solare sul capo e con l'ureo sulla fronte. Si trattava quindi di un'ennesima incarnazione dell'occhio di Ra, da questi inviata a vendicarsi degli uomini massacrandoli. Fu proprio Onuris, in qualità di grande cacciatore, a riportare la dea a più miti consigli, con la collaborazione di Thot e di Shu. Benché collegata ai miti del sole, Mekhit veniva associata anche alla luna. Per il resto, non si sa molto sul suo conto, se non che era venerata insieme a Onuris nei santuari di This, Lepidotonpolis e Sebennito. Una rara immagine della dea è conservata al Museo di Budapest: un piccolo bronzo di Epoca Tarda.

Gli "occhi di Ra"
Tra le divinità collegate al mito dell'occhio di Ra, le più celebri sono senza dubbio le leonesse Sekhmet e Tefnut. A queste (e a Mekhit) bisogna aggiungere Menhyt, che non aveva relazioni con Onuris era venerata a Edfu, nell'Alto Egitto. Stando ai Testi dei Sarcofagi, questa dea era nota anche nel Nord del paese, perché associata a Uadjet, la dea serpente di Buto, nonché protettrice del Basso Egitto. 
Di altre dee ci sono giunte scarsissime testimonianze, nonostante il loro culto fosse collegato agli stessi miti delle altre leonesse. È il cado di Mestjet, di cui si è trovata traccia in una sola stele datata alla XXI dinastia e scoperta ad Abydos: raffigura una donna e sua figlia nell'atto di presentare un'offerta alla dea leonessa.

Pakhet, la cacciatrice
Il fatto che molte divinità non abbiano lasciato particolari tracce di sé nell'arte egizia non significa necessariamente che gli egizi non le adorassero diffusamente. A volte, anzi, si tratta di entità divine che all'epoca erano molto più note di quanto si possa pensare. È il caso, per esempio, di Pakhet, una dea cacciatrice che i greci assimilarono alla loro Artemide (Diana per i romani). Anche Pakhet era una feroce leonessa: il suo nome significava "Colei che sfregia" o anche "Colei che terrorizza". I Testi dei Sarcofagi la descrivono come una creatura notturna, i cui artigli affilati potevano colpire il nemico in qualsiasi momento. Proprio perché ispirava terrore (soprattutto ai nemici dell'Egitto), era oggetto di una profonda venerazione. In alcuni casi, veniva associata a certe forme di Horus, divenendone la sposa. I principali luoghi di culto a lei dedicati si trovano a Beni Hassan, sua città d'origine, dove sorgeva il famoso Speos Artemidos, tempio voluto dal faraone Hatshepsut, che era, così come Thutmosis III, molto legata al culto della dea.

Leoni venuti dall'Africa
Alle divinità propriamente egizie, bisogna aggiungere altri leoni e leonesse probabilmente originari di altri paesi. Tra questi, vi era il leone Apedemak, dio della guerra, raffigurato su dei bassorilievi del tempio di Musawarat El-Sufra, in Nubia. Ad Apedemak e a Mahes (leggere articolo), si aggiunge poi l'oscuro Tutu, venerato durante il periodo greco-romano. Chiamato "colui che tiene a distanza il nemico". Tutu proteggeva dai demoni. Il suo aspetto suscitava molta paura, poiché Tutu derivava allo stesso tempo dall'uomo, dal leone, da un rapace e da un serpente. 

lunedì 1 aprile 2019

La Bibbia NON aveva ragione.


Un uomo chiamato Mosè. La sfida al grande faraone e la libertà dalla schiavitù per il suo popolo, dopo le dieci piaghe d’Egitto. Le acque del Mar Rosso che prima si separano e poi si richiudono, inghiottendo le armate degli inseguitori egizi. Quindi un esodo nel deserto durato 40 anni. Stando ai racconti biblici, gli Egizi non furono teneri con gli Ebrei. Ma se si cercano conferme nei papiri, sulle iscrizioni o tra i resti archeologici, la storia che emerge non è questa.
L’Esodo biblico viene collocato comunemente intorno al 1440 a.C., e la Bibbia cita in particolare la costruzione della città di Ramses, dove gli Ebrei avrebbero lavorato come schiavi nei cantieri. Ma il primo faraone di nome Ramses salì al trono solo nel 1292 a.C. I documenti egizi parlano sì di una città con quel nome (Pi-Ramses/La casa di Ramses), ma questa fu costruita ai tempi di Ramses II, che regnò dal 1279 al 1212 a.C., cioè due secoli dopo la data in cui sarebbe avvenuto l’Esodo. Elemento ancora più importante, una stele del faraone Merenptah, figlio di Ramses II, racconta di una campagna militare nella terra di Canaan, nel corso della quale un popolo chiamato Israele fu decimato fino al punto che il faraone potette annunciare “Non vi è più il seme di Israele”. Questo indica che a quel tempo esisteva già una nazione ebraica e poiché uno stato ha bisogno di notevole tempo per nascere, sembra inverosimile che l’Esodo si sia verificato sotto il regno di Ramses II; infondo la Bibbia stessa colloca la formazione di Israele dopo la morte di Mosè.
Tuttavia va detto che l’Esodo si basa almeno su un fatto reale, cioè, quando gli Ebrei non erano ancora un popolo e i loro antenati si trovavano forse fra i pagani Hyksos, pastori seminomadi provenienti dalla terra di Canaan che presero il potere in Egitto fra il XVII e il XVI secolo a.C. La natura di queste genti spiegherebbe anche la forzatura del racconto biblico che vuole gli Ebrei in stato di schiavitù.
Nondimeno ogni racconto ha una base, un punto da cui viene tratta e riscritta; infondo tutti abbiamo visto almeno una volta il film 'I dieci comandamenti' di DeMille, con un prestante Charlton Heston nei panni di Mosè e con un'affascinante Yul Brynner in quelli di Ramses II. E se Mosè non fosse solo un profeta della tradizione giudaica-cristiana? E se Ramses non ha nulla a che fare con l'Esodo, chi è il faraone in questione? Qual è la verità dietro l'enigma religioso?
In questo straordinario libro, scritto dopo un decennio di ricerche e duro lavoro, l'autore non solo ricostruisce circa cinquemila anni di teologia e storia, ma, ritrovando i pezzi mancanti, termina quell'immenso puzzle di tasselli minuscoli che è la verità dietro l'Esodo.
Il libro sarà disponibile il prossimo mese sui principali siti italiani.


Alessandro Biagini contatti...
E-mail: ptr.alex@gmail.com
Sito internet: Neb Mer


Segnalo inoltre la sua prima pubblicazione dedicata alle piramidi e all'Antico Regno: Neb Mer - il Signore della piramide. 

martedì 19 marzo 2019

Un papà dell'antico Egitto

Oggi in onore della festa del papà voglio parlarvi di un padre vissuto nell'antico Egitto. Al Museo egizio di Torino è conservato un sarcofago appartenente allo scriba reale Butehamon, che è stato una figura chiave della sua epoca, personaggio vissuto a cavallo della fine del Nuovo Regno  (XX din. - Ramesse XI) e l'inizio del Terzo Periodo Intermedio (XXI din. - Smendes), quando la comunità degli artigiani delle tombe dei faraoni si era già trasferita dalla propria sede originaria, il villaggio di Deir el-Medina, al tempio di Medinet Habu.
Butehamon, figlio dello scriba Djehutymes e della moglie di questi, Baketamun, era il discendente di un’illustre famiglia di scribi e letterati che risale fino al celebre Amonnakht figlio di Ipuy, redattore di importanti documenti conservati nella collezione torinese, come il Papiro dello Sciopero e due inni regali.
Numerosi graffiti con il nome di Butehamon evidenziano l’attività dello scriba nella necropoli regale come documenta anche, in particolare, l’annotazione sulla mummia di Ramesse III che attesta la presenza di Butehamon tra gli ufficiali incaricati dal gran sacerdote di Amon-Ra, Pinodjem I, di provvedere al ripristino della mummia e della sepoltura del faraone che infatti, insieme a molte altre, sono a quell'epoca restaurate e trasportate nella cosiddetta cachette di Deir el-Bahari (DB 320).
Butehamon sposa la cantatrice di Amon, Ikhtay, dalla quale ha una numerosa prole. Il nome della donna si è preservato grazie ad un’iscrizione proveniente dalla casa della coppia, situata nel recinto del tempio di Medinet Habu e ancora oggi visibile. Il dolore di Butehamon per la morte che coglie Akhtay è raccolto nella delicata lettera, oggi conservata su un ostrakon del Museo del Louvre, che egli scrive rivolgendosi al sarcofago della defunta, affinché questi si faccia tramite per comunicarle il suo affetto.
Tra le fonti che delineano la vita personale e professionale di Butehamon hanno  grandissima importanza la corrispondenza con il padre Djehutymes, dalla quale ricaviamo anche alcune interessanti informazioni circa gli avvenimenti politici che caratterizzano gli ultimi anni del regno di Ramesse XI. Nondimeno, in questa corrispondenza, sono evidenti le preoccupazioni di un padre per suo figlio, pensieri che sottolineano un rapporto fra i due non molto dissimile da miglia di altri legami padre/figlio di oggi.





Fonti: Musei Vaticani/Museo Egizio di Torino

venerdì 1 febbraio 2019

Traduzioni dalla tomba di Nefertari: corridoio discendente est

Nel post del mese scorso ho usato un’immagine della tomba di Nefertari per spiegare in che modo e in quale direzione si leggono i geroglifici, questo mese invece vi fornirò la traduzione della suddetta scena.

Nelle nicchie laterali è raffigurata Nefertari che tiene nelle mani due vasi-nu contenenti vino, in piedi davanti alla tavola delle offerte e al cospetto di diverse divinità. A destra vi sono Hathor, Selkis e Maat in forma pterofora. Hathor “Colei che presiede a Tebe, la Dama del cielo, la Sovrana di tutti gli dei”, si rivolge alla regina dicendole:
“Io ti do l’apparenza di Ra nel cielo. Io ti do l’eternità come (quella) di Ra”.

Accanto alla figura di Nefertari il testo dice:
“La Grande sposa del re, Signora delle Due Terre, ricca di fascino, dolce d’amore, padrona dell’Alto e del Basso Egitto, l’Osiri Nefertari Meryenmut, giustificata presso Osiride a capo dell’Occidente. Ogni protezione, vita, durata, vigore, salute e ogni gioia, siano attorno a lei come Ra, ogni giorno”.

Anche Selkis, “Dama del cielo, Sovrana della Sacra terra”, rivolge parole di augurio a Nefertari:
Io ti do l’eternità come mio padre Ra. Possa tu restare infinitamente”.

Analogamente a Selkis, anche Maat si rivolge alla regina:
Parole dette da Maat, figlia di Ra, Sovrana della Sacra terra, colei che protegge la sua figlia, la Grande sposa reale, Nefertari Meryenmut”.

martedì 1 gennaio 2019

Le sei principesse di Amarna

Amenhotep IV, alias Akhenaton, e la sua sposta Nefertiti ebbero sei figlie: almeno tre di queste principesse ricevettero una educazione da future regnanti. Eppure, nessuna di loro riuscì a succedere al padre sul trono d’Egitto: probabilmente, furono tutte travolte, insieme ai loro genitori, dal crollo dell’utopia Amarniana e della restaurazione del culto di Amon.


Chi non ha mai desiderato, almeno per un attimo, di poter ricominciare daccapo la propria vita, di ripartire da zero? Per la maggior parte delle persone si tratta, ovviamente, di sogno irrealizzabile. La storia dell’Antico Egitto, però, ci fornisce l’esempio di un uomo capace di trasformare questa aspirazione in realtà, ribellandosi addirittura alle millenarie tradizioni religiose dei padri. Il limite dell’avventura di Akhenaton, il faraone “eretico”, forse fu proprio questo: l’aver tentato di lasciarsi alle spalle, da un giorno all'altro, dogmi, riti e usi consolidati. Uno stravolgimento che, in breve tempo, disorientò gli stessi sudditi e gettò il Paese in una delle più gravi crisi religiose e politiche della sua Storia. Come è noto, il giovane Amenhotep IV non si imbarcò da solo in questa impresa. Accanto a se, aveva il sostegno più prezioso: la bellissima regina Nefertiti ("La bella è arrivata"), che aderì con slancio totale alla folle politica del suo sposo.

La coppia reale che voleva cancellare il clero di Amon
Nel momento in cui intrapresero la loro audace avventura, rinnegando credenze religiose che costituivano i pilastri di una intera civiltà, Amenhotep IV e Nefertiti erano ancora molto giovani: il re doveva avere non più di vent'anni, la regina probabilmente circa sedici. Bisogna tenere presente, a questo proposito, che nozione di giovinezza nell'antico Egitto era completamente diversa dalla nostra: in tutte le culture dell’antichità, il passaggio alla vita adulta cominciava molto presto, specialmente nelle famiglie reali. L’età acerba del faraone e della sua sposa, dunque, non costituiva un problema, né impedì loro di attuare il rivoluzionario progetto che li avrebbe portati a sfidare il potentissimo clero di Amon e l’opinione pubblica del Paese.
Amenhotep IV salì al trono introno al 1.370 a.C. Nel corso dei primi dieci anni di regno, Nefertiti gli diede ben sei figlie (o, secondo altre fonti, sette). Fu, invece, durante il quarto anno di regno che il Faraone decise di imporre il culto di Aton, di farsi ribattezzare con il nome di Akhenaton (“Luce di Aton”) e di trasferire la corte ad Akhetaton (“Orizzonte di Aton”), l’odierna Tell el Amarna. All’epoca, probabilmente, erano già venute al mondo le prime tre principesse, nate a Tebe; le altre tre, invece, videro la luce nella nuova capitale. In questa città, sorta dal nulla nel Medio Egitto e a debita distanza da Tebe, la famiglia reale ebbe modo di dedicarsi al culto del nuovo Dio solare, ispirando anche quel rinnovamento artistico che diede vita al cosiddetto “stile amarniano”.

Un uomo, una donna, sei figlie
Proprio gli affreschi, le sculture e i bassorilievi di Amarna hanno consegnato alla Storia l’immagine di una famiglia felice, immortalata in atteggiamenti teneri e in toccanti scene di vita quotidiana. Questo modo di ritrarre i regnanti, senza dubbio, non aveva precedenti nell'iconografia ufficiale del Paese, improntata a criteri decisamente più rigidi e istituzionali. Per la prima volta, i pittori e gli scultori di Amarna mostravano la coppia reale intenta a giocare con i bambini o a rivolgere loro quelle dimostrazioni di affetto che nessun genitore negherebbe ai propri figli: il re e la regina, in questo modo, diventano un papà e una mamma che, come tanti, coccolavano i proprio pargoli tenendoli in grembo o sulle ginocchia. La rilevanza di queste inedite scene di vita quotidiana, tuttavia, non si ferma qui. I bassorilievi di Amarna, infatti, offrono anche preziose informazioni sul piano Dinastico: permettono, cioè, di risalire al ruolo e all'importanza di ciascuna delle sei principesse rispetto alla successione al trono. Una di loro, in particolare, occupa un posto di primo piano in tutti i ritratti della famiglia reale: si tratta della primogenita Meritaton, nome che significa “L’amata da Aton”; sempre raffigurata accanto al Faraone, era probabilmente l’erede designata alla corona d’Egitto. Non a caso, come volevano i costumi dell’epoca, la giovane sposò suo padre stesso. In seguito, Meritaton si unì in matrimonio anche con certo Smenkhara, forse fratello minore di Akhenaton e, quindi, zio della principessa. Tuttavia, nulla si sa di certo sulla figura di Smenkhara e sul matrimonio in questione. Non di meno, questi, fu protagonista di un effimero passaggio sul trono d’Egitto subito dopo il misterioso Neferneferuaton, sulla cui identità noi storici continuiamo a interrogarci: secondo alcuni si sarebbe trattato della stessa Nefertiti. A ogni modo è certo che non fu Meritaton a prendere il posto paterno sul trono: si ritiene, infatti, che la sua prematura scomparsa sia avvenuta prima della fine della parentesi amarniana.

Le spose del padre
I bassorilievi di Amarna riservano un posto di riguardo anche ad altre due figlie di Akhenaton: Makhetaton (“Protetta da Aton”) e Ankhensenpaton (“Lei vive per Aton”). Anche queste principesse sposarono il padre, sempre in ossequio alla tradizione egizia secondo cui la legittimità dinastica doveva perpetuarsi tramite il sangue femminile. Presumibilmente, questi due matrimoni furono celebrati dopo la morte di Meritaton, la cui figura andava sostituita. Anche Makhetaton, però, morì in giovane età, forse proprio mentre partoriva un bambino. Quanto ad Ankhesenpaton, al di là del fatto che fu designata quale nuova erede al trono, non si sà praticamente nulla sui suoi ultimi anni di vita. Ancora meno per altro, si sà sul conto delle ultime tre figlie di Akhenaton e Nefertiti. I nomi di queste principesse erano Neferneferuaton (vale a dire “Bella è la perfezione di Aton”), Neferneferura (“Bella è la perfezione di Ra”) e Bakhetaton (“La serva di Aton”). A parte questo, non sì è riusciti a stabilire quasi niente, neanche se sopravvissero al padre. Proprio la figura di Akhenaton, del resto, suscita ancora oggi gli interrogativi più forti: le sue origini, la durata del suo regno e la causa della sua morte ci restano ancora ignote, e sulle quali noi storici non smettiamo mai di appassionarci. Secondo l’ipotesi più accreditata, il faraone morì vittima di una lunga e grave malattia. Ma si tratta, appunto, di supposizioni: anche da questa incertezza, probabilmente, deriva l’affascinante alone di mistero che circonda da sempre la figura di Akhenaton.

Akhenaton nella cronologia dei Re Egizi
La XVIII Dinastia si colloca storicamente tra il 1580 e il 1310 a.C. circa e vide succedersi sul trono d’Egitto quindici sovrani le cui date di regno vengono ancora oggi dibattute e discusse. Tuttavia, le date più probabili sono quelle forniteci dall'egittologa Edda Bresciani, che vedono l’inizio del regno di Akhenaton nel 1348 e la sua fine nel 1331 a.C.; con una durata complessiva di 17 anni di regno.

L’educazione delle principesse “eretiche”
La figura di ognuna delle sei figlie di Akhenaton e Nefertiti, dunque, è avvolta da una fitta cortina di mistero. Qualcosa di più, in compenso, sappiamo sul modo in cui le principesse amarniane furono educate e istruite. Ancora una volta, ad aiutarci sono i bassorilievi di Akhenaton: a giudicare dall'atmosfera etera e quasi irreale che i tratti della famiglia reale sprigionano, la vita di corte doveva essere improntata al massimo della raffinatezza. In questo ambiente ricercato, e pressoché isolato dal mondo, la primogenita ebbe certamente modo di preparasi a divenire la futura regina, acquisendo la cultura politica e religiosa indispensabile per governare un impero. Probabilmente, fu il faraone stesso a trasmettere alla figlia queste conoscenze, tanto più che molte delle usanze e della tradizioni del passato erano state volutamente accantonate dal sovrano. Solo lui, quindi, era in grado di tramandare la nuova dottrina alla sua erede, assicurando una continuità a quel progetto rivoluzionario che aveva già stravolto il panorama politico, religioso e sociale dell’antico Egitto. In tutto questo, Akhenaton doveva essere spinto da un ideale incrollabile e da un eccezionale sicurezza di se, tali da permettergli di lasciarsi alle spalle il potentissimo clero tebano.
Quanto all'educazione delle figlie più piccole, fu forse meno improntata alla politica e più alla religione. Le principesse, infatti, erano destinate a diventare sacerdotesse di Aton; a tale scopo, dovevano ricevere da parte del clero tutte le conoscenze che avrebbero permesso loro, al momento opportuno, di celebrare i riti della nuova divinità nazionale. Attorno alle figlie del re, inoltre, dovettero riunirsi tutti gli studiosi della capitale, pronti a trasmettere alle giovani i frutti dei loro studi.

Visi sottili e teste allungate
Che aspetto avevano le figlie di Akhenaton? A giudicare dal fascino leggendario della donna che le aveva messe al mondo, Nefertiti, è facile presupporre che doveva trattarsi di bellissime ragazze. Questa impressione è confermata dai ritratti delle principesse, e questo grazie - o, forse, a dispetto - dello stile eccentrico di molte di queste raffigurazioni. Ricordiamo, infatti, che in ossequio alla rivoluzione religiosa propugnata dal Faraone anche gli artisti dell’epoca stravolsero i loro canoni; il risultato fu una tendenza ad accentuare i lineamenti dei soggetti raffigurati, in particolare quelli del viso, come se queste estensioni dovessero rappresentare la grandezza stessa dei soggetti. Così, le labbra erano sempre eccezionalmente carnose e sporgenti, puntualmente atteggiate a un accenno di sorriso, mentre gli occhi allungati verso le tempie, erano quasi a mandorla. Tutto questo finiva per conferire ai visi un espressione costantemente enigmatica. Anche la testa dei personaggi raffigurati era marcatamente allungata nella sua parte posteriore, descrivendo una forma che quasi strideva con la delicatezza del mento e delle mandibole. Queste, a ogni modo, erano le linee ricorrenti nella rinnovata arte amarniana, insieme alle membra gracili, agli addomi prominenti e alle posture quasi languide. Linee, indubbiamente, del tutto originali rispetto a tutto ciò che gli artisti egizi produssero prima e dopo della parentesi eretica. Perché mai? Prima di Akhenaton, l’arte egizia era concepita non per essere vista dai mortali, ma era semplicemente un codice che doveva essere trasmesso agli dei, in modo che essi riconoscessero l’essenza degli uomini e delle altre figure rappresentate. Tant'è vero che nella lingua geroglifica, non esiste un termine che indichi il nostro concetto di arte. Nel periodo amarniano, invece, il messaggio non era rivolto agli dei, di cui il faraone faceva abbondantemente a meno, nonostante non si possa definire monoteistico; ma era rivolto agli uomini. Di conseguenza, il popolo doveva poter osservare caratteristiche a loro riconoscibili, sentimenti comuni e scene consuete; in modo che potessero riconoscere nel faraone il loro unico capo e tramite divino.

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 Con questo post voglio inaugurare il nuovo blog. Ormai è passato circa un anno dal mio ultimo post ed è arrivato il momento per me di torna...