Dopo la morte di Tutankhamon, la
sua vedova, la regina Ankhesenamon, chiese al re degli Ittiti di darle in sposo
uno dei suoi figli. La scelta cadde sul principe Zannanza, che fu assassinato
mentre si recava in Egitto. Perché? Chi aveva interesse a sbarazzarsi di lui?
Tutankhamon è certamente uno dei
faraoni più famosi, se non il più celebre in assoluto, nella storia dell'antico
Egitto. Per assurdo, però, è anche uno dei sovrani egizi i cui anni di regno
sono avvolti da una fitta cortina di mistero. Il giovane re rimase sul trono
solamente per una decina d'anni al massimo, e quando morì non doveva averne più
di venti; la sua tomba, piccola e poco appariscente, fu dimenticata persino dai
saccheggiatori di sepolcri; i quali vi entrarono una sola volta. Quest'ultimo
fatto si è poi rivelato una fortuna, e aiutato dalla costruzione della tomba di
Ramses VI (KV9-King Valley Tomb n°9), proprio sopra quella del re fanciullo, ha
permesso all'archeologo Howard Carter di ritrovare l'ultima dimora di
Tutankhamon.
Alla ristretta cerchia di questo
faraone apparteneva un altro enigmatico personaggio, piuttosto misconosciuto,
che pure seppe farsi carico degli interessi della corona dopo la scomparsa
prematura del re: era la sposa di Tutankhamon, una giovane donna di nome
Ankhesenamon. A quanto sembra, era la seconda o la terza figlia di Akhenaton e
Nefertiti, ed era più anziana di qualche anno rispetto al suo consorte. Alcune
sculture ritrovate a Karnak la ritraggono come una donna minuta e piuttosto
magra, ma dal bellissimo viso: i suoi lineamenti ricordano quelli della madre,
passata alla storia come una delle più affascinanti regine dell'antico Egitto.
Una strana corrispondenza
Agli occhi degli storici
Ankhesenamon sarebbe rimasta semplicemente la vedova di un giovane ed effimero
sovrano, se non fosse stata l'ispiratrice di una singolare corrispondenza con
il re ittita Suppiluliuma. Il testo di queste lettere è stato ricostruito
grazie a un ritrovamento effettuato nel 1906 dall'archeologo tedesco Hugo
Winckler: tra le rovine dell'antica capitale del regno di Hatti, a Baghaz-Koy
(Anatolia), è riemersa una serie di tavolette scolpite, opera del principe
ittita Mursilis, figlio di Suppiluliuma. Con l'intenzione di tracciare una
sorta di biografia paterna, Mursilis narrò anche un episodio di cui si rese
protagonista la "regina di Misra" (come gli Ittiti chiamavano
l'Egitto), "vedova del re Bibhuria" (nome ittita di Tutankhamon). Ecco
come il principe riepilogò i fatti:
"La sua vedova, la regina
d'Egitto, inviò un ambasciatore a mio padre, con una lettera che diceva: «Mio
marito è morto e io non ho figli. Si dice che tu ne abbia molti. Se me ne
invierai uno, egli diverrà il mio sposo, poiché mi ripugna l'idea di prendere
uno dei miei servitori come consorte». Quando mio padre apprese tutto ciò,
riunì il consiglio dei grandi e disse loro: «Fin dai tempi più antichi, una
cosa simile non era mai accaduta». Decise di inviare Hattu-Zittish, il
ciambellano, e lo istruì così: «Va' e portami delle informazioni credibili:
forse vogliono ingannarmi, forse non desiderano davvero che uno dei miei figli
regni su di loro». Mentre Hattu-Zittish era assente e si trovava sul suolo
egizio, mio padre conquistò la città di Carchemish. In primavera, Hattu-Zittish
tornò insieme a Hani, messaggero egizio. La regina d'Egitto rispondeva a mio
padre in una lettera, con queste parole: «Perché tu dici: cercano di
ingannarmi? Se avessi un figlio, scriverei forse a un re straniero, umiliando
me stessa e il mio paese? Non solo non mi credi, ma arrivi addirittura a
dirmelo! Colui che fu mio marito è morto, e io non ho figli. Dovrei forse
prendere uno dei miei servitori come marito? Non ho scritto a nessun altro paese.
Ho scritto soltanto a te. Si dice che tu abbia molti figli. Mandamene uno, ed
egli sarà mio sposo e signore del paese d'Egitto». E poiché mio padre era un
uomo generoso, decise di fidarsi della regina egizia e prese a cuore la
questione".
Assassinato lungo la strada
Ed ecco il tragico epilogo: il
principe Zannanza, uno dei figli del re Suppiluliuma, fu inviato in Egitto. Il
giovane intraprese il lungo viaggio accompagnato da una scorta armata, poiché
sapeva che bande di predoni infestavano le regioni desertiche. Ma, lungo la
strada, Zannanza e i suoi uomini furono assassinati. Chi furono gli autori del
delitto? Certamente, non si trattava di semplici banditi. La scorta del giovane
principe, infatti, era formata da soldati esperti e ben armati: difficilmente
gli uomini ittiti si sarebbero fatti sorprendere e sopraffare da una manipolo
di rapinatori. Inoltre, il racconto di Mursilis è molto preciso al riguardo,
poiché specifica che il fratello fu attaccato "dagli uomini e dai carri
d'Egitto".
L'identikit degli aggressori,
dunque, sembra molto chiaro, se si esclude il risentimento personale di
Mursilis. Per essere riusciti ad avere la meglio sugli uomini di Zannanza, del
resto, gli assassini dovevano essere in un numero pari o superiore rispetto
agli avversari, e il principe ittita non doveva avere motivo di dubitare di
loro. Inoltre, l'espressione "gli uomini e i carri d'Egitto" lascia
supporre che si trattasse di un regolare drappello, ben organizzato e armato; forse
erano i soldati egizi che Zannanza si aspettava per essere scortato a Tebe?
Nella migliore delle ipotesi, era
una pattuglia egizia addetta al controllo delle piste desertiche, forse
ingannatasi sulle reali intenzioni degli ittiti, o forse all'oscuro dei propositi
della loro regina. Più probabilmente, però, si trattò di un vero e proprio
agguato, di un attacco premeditato nei confronti di Zannanza.
I possibili mandanti
Chi, dunque, aveva interesse a
impedire il matrimonio tra la regina Ankhesenamon e il principe Zannanza? La
risposta è semplice: un pretendente al trono egizio che ambiva a sposare la
vedevo di Tutankhamon, e che non aveva alcuna intenzione di vedersi usurpare la
corona da uno straniero. Se così stavano le cose, la rosa dei possibili
indiziati si restringerebbe a due nomi: Ay e Horemheb.
All'epoca in cui si svolsero i
fatti, Ay era piuttosto anziano: doveva avere circa sessant'anni, un'età già
avanzata per quei tempi; rappresentava il tipico uomo di corte, carico di onorificenze
ed esperto in tutte le questioni diplomatiche, politiche e amministrative. In
passato, era stato un intimo consigliere di Akhenaton, il faraone
"eretico"; secondo alcuni, era addirittura il padre di Nefertiti e,
pertanto, il nonno di Ankhesenamon. Soprattutto, Ay si era guadagnato il titolo
di "padre divino" di Tutankhamon. Nei confronti del giovane re, non
agì da semplice precettore, bensì da guida e da consigliere: fu un mentore
saggio ed esperto, incaricato di sostenere e orientare, passo dopo passo, il
cammino del sovrano lungo la via del potere.
Date queste premesse, è
impossibile supporre che Ay non fosse a conoscenza del progetto di
Ankhesenamon: se non fu la regina stessa a confidarglielo, certamente il
dignitario ne venne a conoscenza tramite le sue spie. È opinione generalmente
accettata che l'anziano pretendente aveva a disposizione tutti i mezzi per
organizzare un'imboscata al principe ittita e per sbarazzarsi del pericoloso
rivale, il cui arrivo in Egitto avrebbe dissolto le sue ambizioni di comando.
Ay, del resto, non era di sangue reale, e solo sposando la vedova di
Tutankhamon poteva legittimare la propria ascesa al trono. Diversamente,
avrebbe dovuto accontentarsi di prolungare quel periodo di coreggenza che
certamente vi fu, come sembra dimostrare anche un reperto archeologico: uno
scarabeo su cui sono incisi i cartigli della regina e del vecchio dignitario.
Eppure, Ay non era un uomo privo
di scrupoli, pronto a tutto pur di dare sfogo alle sue ambizioni. Sembra,
invece, che si trattasse di una persona accorta, riflessiva e, soprattutto,
rispettosa dell'autorità reale, poco incline perciò a organizzare un golpe o un
assassinio politico. È possibile allora, che Ay fosse stato informato fin dal
principio delle intenzioni della regina, ma che l'abbia addirittura
incoraggiata nel suo piano allo scopo di sbarrare la strada a un secondo
pretendente. Forse, era proprio quest'ultimo il "servitore" che
Ankhesenamon non intendeva prendere in sposo: un personaggio, in questo caso,
con molti meno scrupoli di Ay.
Sospetti su Horemheb
Il secondo pretendete al trono
d'Egitto era Horemheb, il solo a poter aspirare, al pari di Ay, alla corona del
doppio paese. Poco per volta, questo importante personaggio era diventato
sempre più influente presso il re fanciullo, a discapito del suo anziano
rivale: se Ay aveva mantenuto il ruolo di "padre divino" e di
consigliere del faraone, Horemheb si era gradualmente affermato come il braccio
destro del sovrano e, forse, come l'ispiratore delle sue volontà. D'altra
parte, non sembra che tra Ankhesenamon e Horemheb vi fosse la stessa confidenza
che caratterizzava i rapporti tra la regina e Ay. Questo avvalorerebbe
l'ipotesi secondo cui la ripugnanza cui la vedova reale alludeva nelle sue
lettere fosse rivolta proprio contro Horemheb.
Ma se il generale non era in così
stretti rapporti con la regina, come poté venire a conoscenza del suo progetto
e dell'imminente arrivo in Egitto di Zannanza? Forse avvertito proprio da Ay?
Che non era così in grado di organizzare un omicidio ma era sicuramente
all'altezza di far fare il lavoro "sporco" a qualcun'altro? O
probabilmente anche questo pretendente al trono disponeva di una potente rete
di spie disseminate in tutti gli ambienti di corte e, persino, tra i servitori
più vicini alla regina; come del resto lo era Ay. È possibile, quindi, che egli
riuscì a intercettare la corrispondenza intercorsa tra Ankhesenamon e il re
ittita, prendendo le adeguate contromisure.
Contro Horemheb, poi, sembra
esserci anche un altro indizio. Come abbiamo visto, tutto lascia supporre che
l'agguato subito dal principe nel deserto fu lanciato da una milizia ben armata
e perfettamente organizzata: è vero che Ay aveva svolto in passato degli incarichi
militari e che conservava una certa influenza presso l'esercito egizio, ma il
suo rivale Horemheb, all'epoca, era un generale in servizio.
Conclusioni
Ay o Horemheb, dunque? Quale dei
due fece assassinare il principe Zannanza? Di certo, se ora ci ritrovassimo in
un tribunale romano con Ay e Horemheb sotto inchiesta, colui che risponderebbe
meglio al criterio del "cui bono" è sicuramente e senza orma di
dubbio Ay. Ci sono tuttavia, poche possibilità che questo enigma venga un
giorno risolto. Tutto ciò che sappiamo è che, dopo il tragico episodio, Ay salì
al trono e vi rimase quattro o cinque anni, e che Horemheb gli succedette. Quanto
alla bella regina, la sua fine è avvolta nel mistero.
Dubbi storici
Alcuni archeologi obiettano che
il periodo trascorso tra la morte di Tutankhamon e l'ascesa al trono di Ay
sarebbe stato troppo breve perché potesse avvenire uno scambio di missive tra
Tebe e Carchemish, dove allora si trovava il re degli Ittiti. In proposito, va
detto che tra i due eventi intercorsero almeno settanta giorni, quelli
necessari a preparare il corpo di Tutankhamon per i funerali: è quindi
possibile che gli ambasciatori abbiano avuto il tempo di andare e tornare più
volte dalle due città.
Grande Jenny!
RispondiEliminaStupendo grazie!
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