Secondo la tradizione, questo
faraone della VI dinastia regnò per più di novant'anni. Il suo regno segnò un
cambiamento epocale: il passaggio dalla prosperità dell'Egitto dell'Antico
Regno allo scompiglio del Primo Periodo Intermedio.
Una statuetta alta quaranta
centimetri, esposta al Brooklyn Museum di New York, costituisce forse l'unica
rappresentazione disponibile della più importante figura della VI dinastia
egizia: il faraone Pepi II. Seduto sulle ginocchia della madre, la regina
Ankhnesmeryre, il futuro sovrano ha il corpo esile di un ragazzo ma il volto di
un adulto, quasi di un anziano. In questo modo, forse, l'artista volle
conferire una maggiore solennità al ritratto del giovane principe. È anche
possibile, tuttavia, che questa scelta sia stata dettata dalla necessità di
ricordare che quello di Pepi II fu il regno più lungo di tutta la storia
dell'Antico Egitto.
Faraone a sei anni
Secondo alcuni studiosi, il regno
di Pepi II durò settant'anni, una lunghezza che sarebbe giù riguardevole;
secondo la tradizione, invece, si prolungò addirittura fino al novantaquattresimo
anno di regno, il che significa che il sovrano sarebbe stato un centenario,
essendo salito al trono alla tenera età di sei anni. Se si considera che
l'Antico Regno abbracciò un arco di tempo pari a circa cinque secoli, il regno
di Pepi II, da solo, ne avrebbe monopolizzato uno intero.
Figlio di Pepi I e fratellastro
di Merenra, al quale succedette, Pepi II fu il quinto faraone della VI
dinastia, che regnò tra il 2460 e il 2200 a.C. L'Antico Regno era allora al suo
apogeo: il potere centrale poggiava su basi molto solide ed era detenuto dal
faraone, un monarca assimilato a un dio. Questi irradiava la propria autorità
incontestata su tutto il paese e il popolo viveva in pace, abbondanza e
prosperità.
Il regno più potente del mondo
Il regno sul quale il giovane
Pepi II si apprestava a governare era uno dei più potenti, se non addirittura
il più potente del mondo di quell'epoca. Menfi, capitale dell'Egitto all'epoca,
era una magnifica città ricca di splendidi palazzi, templi e santuari. I
sovrani delle dinastie precedenti si erano rivelati artefici di costruzioni di
grande genio: Cheope, Chefren e Micerino, infatti, avevano fatto erigere i più
incredibili monumenti del mondo, cioè le tre grandi piramidi dell'altopiano di
Giza. I loro successori continuarono su questa strada: è vero che le piramidi
costruite successivamente non ebbero la stessa maestosità delle tre precedenti,
ma è vero anche che furono costruiti edifici particolarmente imponenti e dalle proporzioni
perfette. Vicino a Menfi, nelle necropoli di Saqqara e di Abusir, sono
allineate le "mastabe, splendide tombe fatte costruire da nobili e
dignitari per il loro viaggio nell'eternità e adornate da magnifiche
decorazioni: dei veri gioielli architettonici. Sul fronte esterno, l'Egitto era
temuto e rispettato. Anche il commercio era florido, e furono fondate delle
colonie in Nubia, una terra che da sempre affascinava i sovrani egizi,
sensibili al miraggio dei "paesi del sud". La Nubia, infatti, era una
regione meravigliosa, un vero paradiso terrestre da cui le carovane tornavano
cariche di oro, pietre preziose, legni pregiate e unguenti. Gli stessi abitanti
della zona, i nubiani, erano uomini eccellenti e fornivano soldati di prima
scelta all'esercito egizio.
Un malessere strisciante
Tutti questi elementi positivi,
benché reali, rispecchiavano di fatto solo la superficie delle cose. Nel
frattempo, infatti, andava insinuandosi un sentimento di inquietudine che
sarebbe arrivato a erodere le strutture del paese: poco visibile all'inizio, si
sviluppò in modo insidioso con il passare degli anni, andando a minare le
fondamenta stesse dello Stato. La lunghezza del regno e l'età avanzata di Pepi
II non fecero che aggravare il fenomeno: man mano che il sovrano invecchiava,
la sua autorità diminuiva; si avvicinava il momento in cui non sarebbe più
stato in grado di reagire a eventuali rivolte. Segnali di questo malessere apparvero
tra i nomarchi, i potenti governatori delle province. Molti di questi, pur
continuando ad applicare le direttive del potere centrale, si allontanavano in maniera
impercettibile dall'influenza del sovrano. Indizio rivelatore di questo
progressivo allentarsi dell'autorità del faraone era il fatto che alcuni di
questi potenti dignitari preferivano farsi seppellire nel proprio feudo
piuttosto che scegliere un luogo di sepoltura vicino a quello del sovrano.
Sempre più spesso, inoltre, i nomarchi cercano di trasmettere la carica ai
propri discendenti, rendendo la funzione ereditaria e conservando le ricchezze
nelle mani della propria famiglia. Alcune corti locali, come quella del nomarca
di Abydos, arrivarono a competere per fasto e magnificenza con quella del
palazzo del faraone a Menfi.
Il potere reale si indebolisce
Preoccupato di mantenere la
lealtà di quegli uomini che sentiva allontanarsi, e man mano che invecchiava,
Pepi II si mostrò sempre più incline a riconoscere loro alcuni privilegi. Ad
esempio, concedeva ad alcuni templi i benefici legati alle terre o ai domini
che a lui appartenevano. Per il fatto di essere molto vicino alla Nubia, invece
il nomo di Elefantina fu dotato di uno statuto speciale. Benché agli occhi di
tutti il faraone continuasse a mantenere l'immenso prestigio della propria
carica, iniziative di questo tipo non facevano che indebolire il suo potere,
provocando allo stesso tempo il malcontento e la gelosia di coloro che si
ritenevano dimenticati o insufficientemente ricompensati. Da tutto ciò derivò
una situazione di forte squilibrio politico ed economico: alcune province, più
ricche di altre, acquisirono una certa autonomia, il che frammentò e ridusse
ancora di più l'importanza del potere centrale.
Alla morte di Pepi II, l'Antico
Regno stava affondando: il potere reale crollò e si frantumò, inizialmente in
modo piuttosto impercettibile, poi sempre più velocemente. Partito nell'opulenza
e nello splendore, il regno più lungo della storia d'Egitto si concluse in una
situazione di crisi che preludeva agli anni travagliati del Primo Periodo
Intermedio.
Leggi anche: La lettera di Pepi II a Herkuf: un nano fortunato.
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