Ad Ammit non erano dedicate
cerimonie di culto, né le furono consacrati dei templi. In compenso, "la
grande divoratrice" era oggetto di un vero timore reverenziale da parte
degli egizi: è in questa chiave, dunque, che possiamo comprendere il rapporto
che legava gli uomini dell'epoca a questa civiltà.
Gli abitanti dell'antico Egitto
avevano sempre ben presente il ruolo che Ammit svolgeva nel corso del giudizio
finale, eppure non dedicarono a questa divinità né templi né cerimonie
particolari. Si tratta di una contraddizione solo apparente; di fatto, gli
egizi erano consapevoli che la "grande divoratrice" era un nemico da
evitare e affrontare al tempo stesso: a questo scopo, elaborarono una vera e
propria strategia racchiusa nel celebre Libro dei morti, l'unico vero
"antidoto" contro l'insaziabile appetito della feroce creatura.
Uno strumento di protezione
Il Libro dei morti consisteva in
un'immensa raccolta di formule magiche e di immagini destinate a rinforzare
l'effetto degli incantesimi. Secondo gli egizi, la semplice presenza di questi
testi nelle tombe proteggeva i mortali dagli effetti del decesso e permetteva
ai defunti di affrontare al meglio la delicata fase di passaggio al regno di
Osiride. Per questo, la raccolta di formule era detta anche Libro dell'uscita
alla luce del giorno. Tra i diversi incantesimi ve n'era uno di origine
antichissima che serviva a impedire ad Ammit di gettarsi sulla sua possibile
preda: si chiamava "Dare al proprio cuore una buona coscienza", e
permetteva a un cuore carico di colpe di alleggerirsi in vista del giudizio
finale. È difficile stabilire se gli egizi vedessero in questa pratica una
sorta di inganno perpetrato ai danni di Osiride o, al contrario, una
manifestazione di misericordia da parte del dio dei morti. Di fatto, la
possibilità degli uomini di redimersi all'ultimo minuto non intaccava il ruolo
della grande divoratrice, che consisteva essenzialmente nel dissuadere i mortali
dal compiere azioni malvagie e nel convincerli a vivere secondo maat, vale a
dire secondo giustizia. Troppo forte e temuto, infatti, era il rischio di
cadere tra le fauci della mostruosa creatura. Per inciso, si può notare che le
stesse "opere di misericordia" introdotte più tardi dal cristianesimo
evocano alcuni dei precetti positivi cui già gli egizi si attenevano per
scampare alla dannazione eterna.
"Opere di Misericordia"
nell'antico Egitto
È possibile che i testi religiosi
egizi abbiano ispirato quelli cristiani? I precetti che seguono, che ricordano
quasi alla lettera alcuni insegnamenti del cristianesimo sembrano dimostrarlo:
"Ho dato il pane agli affamati e da bere agli assetati. Ho vestito chi era
nudo. Ho fatto attraversa il fiume a chi non aveva una barca. Ho sepolto chi
non aveva figli". Anche secondo gli egizi, gli uomini che compivono queste
buone azioni non dovevano temere il giudizio divino.
Ammit nelle tombe
In teoria, dato che Ammit era già
presente nel Libro dei morti, gli egizi non avevano bisogno di raffigurarla una
seconda volta nelle tombe. Diverse sepolture dell'epoca, però, fanno eccezione
a questa regola, poiché presentano immagini dell'essere infernale dipinte sulle
pareti. Una di queste si trova nella necropoli di El-Khokha, nella regione
tebana: nella tomba di Nefersekeru, Ammit è raffigurata mentre è in attesa
dell'esito della pesatura del cuore di un defunto. Una rappresentazione analoga
si trova nella tomba di Bannentiu, in un'oasi del deserto occidentale chiamata
Bahariyah, e si potrebbero citare anche altri esempi. Certamente, perché un
mortale osasse far rappresentare Ammit sulle pareti della sua sepoltura doveva
essere sicuro di possedere un cuore puro. Diversamente, non gli restava che affidarsi
alle formule magiche.
Dea o concetto divinizzato?
Grazie ai benefici poteri del
Libro dei morti, dunque, Ammit costituiva più una sorta di spauracchio che una
reale minaccia. Va detto, peraltro, che l'essere in questione non veniva
neanche considerata una divinità in senso stretto. Per gli egizi, si trattava
più propriamente di un concetto divinizzato, proprio come Maat, l'altra grande
protagonista del giudizio, ma a differenza di Ammit, la dea della verità e
della giustizia, era una divinità a tutti gli effetti. Se quest'ultima
incarnava la rettitudine, la mostruosa creatura dalle fauci di coccodrillo
rappresentava la lotta al male, colei che impediva ai cuori impuri di accedere
alla vita eterna. Verso l'anno 1000 a.C., poi, gli egizi cominciarono a vedere
in Ammit anche una sorta di figura materna: spingendo i mortali a rifuggire le
azioni malvagie, infatti, questa entità divina permetteva loro di accedere a
una seconda vita, quindi di rinascere. Questo modo di interpretare la figura di
Ammit spiega come mai gli egizi non ritennero opportuno dedicarle templi, cappelle
o altari, e come mai non esistesse un clero a lei consacrato. Il culto della
"grande divoratrice", infatti, si esprimeva nell'intimo di ciascun
uomo, prendendo la forma di quel timore reverenziale con cui ognuno si
preparava ad affrontare il giudizio del tribunale divino.
Ammit a Deir el Medina
Come abbiamo visto, la maggior parte delle immagini di Ammit a noi note si trova nei rotoli di papiro del Libro dei morti, tuttavia, sono state ritrovate anche delle raffigurazioni in bassorilievo. La più celebre è nel tempio di Hathor, a Deir el-Medina. Qui, ricordiamo, si trovava il villaggio degli artigiani che realizzarono le tombe della Valle dei Re: molte delle sepolture locali sono decorate con raffigurazioni ispirate al Libro dei morti, in cui Ammit è sempre presente. All'interno del tempio, nella cappella di Amon-Sokar-Osiride, spicca un grande bassorilievo che descrive il rito della psicostasia: mentre il defunto pronuncia la sua confessione negativa davanti a Maat, gli dei Horus e Anubis controllano la pesatura dell'anima e Thot ne registra il risultato; Ammit, che volta loro le spalle è seduta davanti a Osiride; tra lei e Thot, si nota l'inconsueta presenza di un personaggio seduto su una croce ankh: dal ciuffo infantile, sembrerebbe trattarsi di Harprocate, L'Horus bambino. Da quel momento in poi si decide la sorte dell'anima del defunto.
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