mercoledì 25 novembre 2015

Il culto degli antenati nell'antico Egitto

Fra i popoli dell'antichità gli egizi furono certamente coloro che attribuirono maggiore importanza al culto dei morti. Non sempre, però, le mille attenzioni rivolte agli antenati erano disinteressate...
In un certo senso, si può dire che se gli antichi egizi riservavano così tante attenzioni ai loro cari estinti era anche per un tornaconto personale. Di fatto, secondo le credenze dell'epoca, la vita dei defunti proseguiva nell'aldilà: qui gli antenati conservavano la propria personalità e la capacità di interferire nell'esistenza dei vivi, attirando su di loro la benevolenza degli dei; come dimostra una lettera ad un defunto ritrovata nella tomba di Sanekhenptah a Saqqara  e datata alla VI dinastia:

"(...) Il tuo cuore si manterrà freddo riguardo ad essa (la casa di famiglia)? Sarebbe meglio che tu portassi via chi è qui accanto a te, piuttosto di vedere tuo figlio calpestato dal figlio di Isesi. Svegli a tuo padre Ii (...) Alzati contro di loro insieme ai tuoi padri, i tuoi fratelli e i tuoi amici, abbatti Behesti e Ananekhi (coloro che occupavano illegittimamente la casa) (...)".

Letteratura e poesia dell'antico Egitto - Edda Bresciani - Einaudi, pag. XXXII


Gli "spiriti efficaci di Ra"
Per gli egizi, alcuni avi particolarmente importanti erano degni di un vero e proprio "culto degli antenati". Se questi personaggi illustri non erano di stirpe reale, le celebrazioni a loro dedicate di svolgevano nelle abitazioni private, piuttosto che nei templi. Nel villaggio degli artigiani di Deir El-Medina, a ovest di Tebe, sono stati ritrovati degli altarini per le offerte e delle stele commemorative. Si è potuto così appurare che alcuni defunti si meritarono l'appellativo di akh iker n Ra: "spiriti efficaci di Ra"; in questo modo, si sottolineava che questi morti erano di grande aiuto per i vivi, poiché intercedevano per loro presso il dio solare. I morti, infatti, avevano la facoltà di librarsi in volo fino alla barca sacra di Ra e di accompagnare il dio nel suo viaggio celeste. Ecco perché era così importante assicurarsi il loro favore. Un testo dell'epoca dice a questo proposito: "Divieni un akh per me, davanti ai miei occhi, perché in sogno io possa vederti lottare per me. Allora io deporrò delle offerte per te...". Nella maggior parte dei casi, i figli erano tenuti a seppellire i propri padri e a onorarli. Il culto funerario, e dunque il compito di rinnovare le offerte indispensabili alla "sopravvivenza" del defunto, erano affidati invece a persone appositamente incaricate o alla buona volontà della gente di passaggio.

Lettere per i morti...
Come abbiamo visto i parenti del defunto non mancavano di rivolgere a quest'ultimo delle preghiere e di scrivergli delle vere e proprie lettere. Se, infatti, i morti potevano intervenire nelle questioni che riguardavano i vivi, era necessario comunicare con loro. Come? Semplicemente, indirizzando loro una lettera: dopo aver precisato il nome del mittente e quello del destinatario, si sceglievano le formule più adatte per rivolgersi al morto e si inviava il tutto al suo domicilio, cioè alla sua tomba o al suo feretro. A volte le lettere erano redatte su fogli di papiro o su tele di lino, ma il più delle volte venivano scritte direttamente sui vasi di terracotta che contenevano le offerte. Le lettere più antiche risalgono all'Antico Regno, ma il loro utilizzo divenne più frequente soprattutto negli ultimi secoli del III millennio. Al defunto si chiedeva di intervenire per aiutare la guarigione di un malato, per regolare una questione legata all'eredità o anche di vigilare sui suoi discendenti. Per assicurarsi questo aiuto, l'autore della lettera faceva spesso riferimento alla propria bontà e alla propria diligenza: per esempio, ricordava di aver prestato molta attenzione a pronunciare con cura una formula piuttosto che un'altra durante il rito funebre. In certi casi, però, si ricorreva anche a delle velate minacce. Nella cosiddetta "coppa di Kau", un figlio ricorda alla madre tutto l'impegno profuso nel soddisfare il suo desiderio di mangiare sette quaglie. Come poteva permettere, allora, che suo figlio venisse offeso in sua presenza? Se le cose stavano così, continuava l'autore della lettera, nessuno le avrebbe più garantito il culto funerario. Ovviamente, i vivi non si aspettavano di ricevere delle lettere di risposta dai morti. Speravano, però, che il defunto si manifestasse in sogno per esaudire le loro suppliche.

Rimproveri e maledizioni
A volte, proprio perché conservavano la loro personalità anche dopo il decesso, i morti erano accusati dai vivi di qualche misfatto e rimproverati a dovere, è il caso di quell'uomo che cercò di suscitare la vergogna di un defunto giudicandolo responsabile di un crimine e invitandolo a non commetterlo di nuovo. O, ancora, di quel marito che si lamentava perché la sua sposa lo perseguitava dall'aldilà, invocando il tribunale dell'altro mondo affinché giudicasse fondata la sua lamentela. I morti che venivano sospettati di tormentare eccessivamente i vivi, per esempio portando loro delle malattie, così come i vampiri e gli altri spiriti malvagi nella storia, correvano il rischio di vedere distrutta la loro tomba e il loro nome; questo equivaleva alla loro morte nell'aldilà, cioè a una scomparsa definitiva. È proprio per questo motivo che, alla morte di Akhenaton, i suoi monumenti furono distrutti in tutto l'Egitto: bisognava cancellare ogni tracci di quel sovrano che aveva cercato di imporre al paese una nuova religione. Nei casi estremi, per eliminare i defunti ostili, i vivi ricorrevano anche alle maledizioni o all'esorcismo. Per allontanare o eliminare i nemici del defunto, gli egizi ricorrevano a volte a delle tavolette che servivano a esorcizzare il pericolo: dopo avervi trascritto una formula che conteneva i nomi dei nemici, le rompevano e le bruciavano seguendo un apposito rituale. Alcune di queste tavolette sono state ritrovate piene di chiodi, il che evoca la futura stregoneria. In tempi più antichi, le stesse iscrizioni comparivano su delle coppe: come descritto nei Testi delle piramidi e nei Testi dei sarcofagi, la rottura di questi oggetti poneva fine al banchetto funebre.

Lettera a una sposa defunta
Su un papiro datato al XIII secolo a.C., un ufficiale di carriera si rivolge alla sua defunta sposa con queste parole:
"All'eccellente spirito di Ankhiry! Quale misfatto ho compiuto nei tuoi confronti per cadere nel triste stato in cui mi trovo? Cosa ti ho fatto? Ma ecco quel che hai fatto tu: hai messo la mano su di me benché io non avessi commesso nessuna cattiva azione contro di te (...). Rivolgerò una lamentela contro di te, con le parole della mia bocca, davanti all'Enneade divina dell'aldilà e si vedrà chi di noi due ha ragione (...). Ti ho sposato quando ero un ragazzo (...) ero con te, non ti ho lasciata, ho evitato che il tuo cuore soffrisse. Ho agito così (...) quando svolgevo funzioni importanti per il faraone (...) ed ecco che tu impedisci al mio cuore di essere felice".

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